“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la vita a credersi uno stupido”. Sono le parole di Albert Einstein, uno dei più grandi scienziati della storia, capace di modificare in maniera radicale l’interpretazione del mondo fisico e, molto probabilmente, dislessico.
Ma di cosa parliamo quando facciamo riferimento alla dislessia? Non si tratta di un deficit di intelligenza (Einstein ne è un esempio lampante) né di un problema ambientale, psicologico, sensoriale o neurologico.
I bambini dislessici hanno difficoltà a scrivere in modo corretto e fluente, non riescono a farlo in maniera automatica e devono impegnare molte più forze ed energie del normale per farlo, stancandosi molto rapidamente.
La dislessia, così come la discalculia, la disgrafia e la disortografia, sono, infatti, disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) che interessano solo un aspetto specifico delle abilità dei bambini (capacità di calcolo, scrittura, lettura) ma che non influiscono sul funzionamento intellettivo generale.
Si calcola che oggi la dislessia riguardi il 3-4% della popolazione scolastica (primaria e secondaria di I grado) ma è purtroppo ancora una problematica poco conosciuta e che non sempre viene affrontata correttamente. Spesso, purtroppo, può essere ancora confusa da genitori e insegnanti con svogliatezza, mancanza di impegno o addirittura con problemi di natura psicologica, contribuendo a creare nei bambini sensi di colpa, frustrazioni, sofferenze.
Ne è un esempio il delicato e bellissimo film indiano “Stelle sulla terra”, che racconta la storia di un bimbo dislessico considerato dal padre semplicemente svogliato e incapace e che invece, grazie all’incontro con un insegnante speciale (anche lui in passato dislessico), riesce finalmente a far emergere tutto il suo talento, la sua intelligenza e la sua creatività
A Rimini si occupa da oltre 50 anni di disturbi del linguaggio e dell’apprendimento, la dottoressa Atalia Tresoldi, che ci racconta come è cambiato l’approccio a questa patologia e come intervenire.
“Fino a qualche anno fa la dislessia era considerata solo come una patologia legata all’impossibilità di apprendimento della scrittura, oggi nuovi studi hanno dimostrato che non è in alcun modo connessa a deficit neurologici, sensoriali o emotivi. È possibile cogliere dei segnali già nei bimbi molto piccoli, a 3 o 4 anni: bambini che faticano a riconoscere segni e suoni, che storpiano le parole, che dimenticano i nomi delle persone a loro vicine. Sono tutti segnali che possono far riconoscere precocemente il problema ed evitare molte complicazioni. Una diagnosi tempestiva è molto importante ma, al tempo stesso, la dislessia non deve neppure essere diagnosticata troppo in fretta”.
Per 26 anni la dottoressa Tresoldi è stata anche insegnante e conosce molto bene il mondo della scuola.
“Come dicevo, a volte il rischio è che la dislessia venga diagnosticata troppo in fretta. Purtroppo oggi le classi sempre più numerose e la presenza sempre maggiore di bambini stranieri, causano apprensione negli insegnanti e può capitare che alcuni bambini vengano diagnosticati troppo in fretta come problematici mentre le loro difficoltà potrebbero semplicemente essere risolte con un insegnamento più lento e attento. Il ruolo della scuola è fondamentale: l’insegnante ha alcuni strumenti che può mettere in atto per evitare che questi bimbi rimangano indietro rispetto al resto della classe, e per questo è importante che il bambino venga considerato nella sua interezza, non guardando solo alle sue difficoltà di scrittura o di lettura”.
E la famiglia?
“Per la famiglia spesso è difficile farsi carico di queste problematiche: si sente sola, non c’è chiarezza rispetto alle linee di aiuto e sullo stile educativo da tenere. Può appoggiarsi ai servizi specialistici dell’Ausl, ma spesso ci sono tempi di attesa molto lunghi. Per questo è importante lavorare in maniera concertata tra i diversi soggetti che hanno a che fare con questi bimbi”.
Anche la professione del logopedista è un ambito di intervento in espansione.
“Si tratta di una professione relativamente giovane, conosciuta da massimo 60 anni e che è stata regolamentata solo di recente. Credo che sia una professione meravigliosa, che richiede tantissime competenze (anche di tipo medico). È una professione anche molto richiesta in questo momento perché sono tante le famiglie con bambini che hanno questo tipo di problematiche ma ancora relativamente poche le scuole statali dove ci si può formare come logopedisti. E non dimentichiamo che la dislessia è un problema che non coinvolge solo i bambini: esistono anche casi di dislessia negli adulti e negli anziani, in questi casi si tratta di un disturbo post traumatico spesso conseguenza di ictus. Amo profondamente questo lavoro, come libera professionista ho seguito e seguo centinaia di bambini e le loro famiglie. Il logopedista non è solo un operatore tecnico, ma una figura che deve mettersi totalmente al servizio di questi bambini. E sono convinta che più dà, più riceve!”.
Silvia Sanchini