Ieri modulava la voce e il suono, oggi modella ceramica e bronzo.Cercando di dare forma all’infinito, una vocazione da far tremare i polsi. 59 anni, riminese, Paola Ceccarelli, artista, moglie e madre di quattro figli, è arrivata alla attività di scultrice in età matura, dopo un percorso ricco di svolte ed esperienze. Una preziosa testimonianza della sua arte è esposta nella mostra “Di Terra e di Luce” fino all’8 dicembre a CastelSismondo.
Dalla musica alla scultura. Un viaggio di sola andata?
“Cantavo in un coro. Sono diplomata in pianoforte al Conservatorio, pensavo fosse quella la mia strada, poi una grave perdita dell’udito. A posteriori penso che sia andata bene così, che quella mancanza abbia acuito la ricerca della bellezza: in fondo, anche dalla terra che modello mi attendo sempre un suono, che la forma risuoni”.
Come definisce la creazione dell’opera d’arte?
“Un avvenimento. Deve accadere un incontro: vedo un dettaglio che mi colpisce – il guscio di una conchiglia, una roccia, un volto – e dentro quella cosa ne vedo un’altra, l’essenza della cosa, come un tratto misterioso nascosto in essa e che la costituisce: sento un desiderio irresistibile di vedere quel tratto misterioso che è un tutt’uno con la forma che mi ha colpito, e metto le mani nella creta, per ricreare quello che ho visto, che ho sentito come in un’eco profonda dentro di me. Per generare bisogna essere in due, no? Così nella L’arte come servizio… come un dito che indica la luna.
L’arte come servizio… come un dito che indica la luna
“Sì, l’arte indica la luna, le stelle. Un grande astrofisico l’altro giorno a Rimini ha parlato proprio del nostro nesso con il mistero dell’origine dell’universo; siamo fatti di polvere di stelle e la nostra umanità si esprime in quel sentire profondo, a volte struggente e carico di nostalgia per qualcosa di grande, che ci fa esclamare: ma io, chi sono? Sarei felice se le mie opere aiutassero chi le vede a tenere desto l’impegno con la nostra umanità che si esprime nelle domande fondamentali di desiderio di verità, di bellezza, di bene e di giustizia”.
Cosa le accende l’ispirazione?
“Soprattutto il creato. C’è una frase che vorrei citare, di un filosofo francese, Fabrice Hadjaji: «Se oggi il cielo sopra le vostre teste vi sembra vuoto come un brutto libro, è perché non guardate abbastanza dove mettete i piedi”. La mia creatività si accende di ispirazione quando guardo la strada dove metto i piedi con la certezza che mi condurrà a una meta: allora sto attenta a tutto, e anche una piccola traccia mi può indicare qualcosa, ispirare, o confermare nell’idea. È una specie di caccia al tesoro, con la certezza che il tesoro da qualche parte c’è davvero”.
Rimini e/è ilmare.
“Noi riminesi abbiamo un tratto peculiare, una nostalgia di un infinito. È quel che cerco di dire con le mie opere (donne-conchiglia) ispirate alle conchiglie: ci si sente come un guscio vuoto buttato sulla spiaggia che desidera però ritornare a quell’infinito a cui appartiene”.
Suo padre è un noto preside. Quale rapporto vi lega?
“Mio padre mi ha educato con il suo sguardo, senza tante parole. A noi figli ha trasmesso amore per la bellezza, per l’arte. Entravamo in un museo e non sapevamo quando saremmo usciti, ci commentava ogni opera. Ma soprattutto ci portava in mezzo alla natura, e quella per me è stata la mia vera scuola d’arte. Anche mia mamma è stata importante per il mio percorso artistico: lei, madre di 8 figli, donna semplice e di grande fede, mi ha sempre indicato la priorità della vita, del mio essere madre: i figli vengono prima di tutto. Quando vivevo una sorta di contraddizione tra il mio essere artista e tirar su i figli, non capivo il vero senso di queste parole. Adesso so che essere madre, dare la vita è l’esperienza umana più simile alla creatività: tu porti un figlio dentro di te, ma non ti appartiene, proprio come l’opera d’arte”.
Tommaso Cevoli