Se c’è una cosa che ho capito della cultura giapponese è che non si può pretendere di capirla così facilmente. Non bastano anni di assidua visione dei cartoni animati giapponesi: in una libreria mi sono trovato un’enciclopedia sui significati sottesi a Goldrake e Mazinga che mai e poi mai mi sarei immaginato. Ci sono comportamenti comuni di quella gente che a noi sembrano strambi o riprovevoli, e viceversa. Tante band di successo in Europa hanno vissuto con apprensione la prima tournée in Giappone, visto che laggiù i fans non rispondono secondo i gusti occidentali. E allora che carte giocare per promuovere la nostra offerta dalle parti del Sol Levante? Fellini? Il liscio? L’enogastronomia? Poi capita che uno si imbatta in una comitiva di giapponesi in spiaggia a “fare puffi” da una fiera per sbizzarrirsi in foto balneari: alcuni di loro, in giacca e cravatta, si arrotolno i pantaloni per farsi immortalare in acqua. Ma i veri protagonisti sono i cocali: cocali sugli scogli, cocali che volavano, cocali appollaiati in acqua, tutti immortalati in serie dagli obiettivi nipponici. Se i cocali sono un buon testimonial, allora sbandieriamoli con orgoglio e via al marketing: “Rimini, città dei cocali”. Magari era solo un vezzo di quella comitiva. Oppure chissà che la congiunzione tra il locale e il mercato globale non sia proprio il caro vecchio cocale.