Sant’Agostino affermava che “La speranza ha due figli bellissimi: l’indignazione e il coraggio. L’indignazione davanti alle cose così come sono, il coraggio per cambiarle!”.
Don Luigi Ciotti, che non è un Padre della Chiesa, ma certo un suo bravo figlio, dice: “Non dobbiamo perdere la capacità di indignarci, persino di arrabbiarci di fronte alle ingiustizie che piegano, che umiliano le persone…”.
Come accettare allora che, ogni giorno (!), come ha ricordato Sergio Zavoli al Festival Francescano, nel mondo muoiano in media 27.000 bambini per fame, malattie, violenze, sfruttamento?
Che dire alla notizia che a Mosul in Iraq, è stata torturata e lapidata Samira Saleh al-Nuaimi, avvocatessa musulmana che si era battuta contro la violenza jihadista?
Che parolacce trattenere nel leggere di alcuni deputati intenti a difendere i loro privilegi mentre la crisi continua a tenere in ginocchio milioni di famiglie?
Cosa provare se l’Organizzazione mondiale delle migrazioni ci avverte che dall’inizio del 2014 almeno 3.072 persone (sì, persone come me, te, tuo figlio…) sono morte nel Mediterraneo mentre cercavano di migrare, e il tuo vicino di bus dice “potevano starsene a casa loro”?
Che dire di fronte all’egoismo e al razzismo, alla violenza anzitutto verbale dei social forum, concreta, dilagante, generata dalla paura, dall’insicurezza, dall’ignoranza e dalla strumentalizzazione politica?
Come cristiani non possiamo non indignarci, ma, cogliendo l’invito di Gesù a non essere “sepolcri imbiancati”, siamo invitati per primi a convertirci, a cambiare.
“L’educazione di cui oggi abbiamo maggior bisogno– ancora don Ciotti ci aiuta nella nostra riflessione – è quella alla libertà, alla responsabilità, all’intelligenza critica. L’unica in grado di spezzare le catene del conformismo, della rassegnazione e quindi dell’ingiustizia, rendendoci capaci di operare coraggiosamente i cambiamenti necessari affinché i diritti e la dignità di tutti gli uomini siano rispettati e promossi”.
Da domenica 5 ottobre, nel decennale della beatificazione, la Chiesa riminese propone la figura di Alberto Marvelli, un giovane che non aveva certo paura di indignarsi, accompagnando sempre la sua “sana rabbia” ad un forte impegno per i più piccoli e i più deboli. Anche Alberto non è un Padre della Chiesa, ma un suo degno figlio. Figlio anche di questa Città. Ed è bene, e importante per tutti, che Alberto si “riappropri” della sua città. Se avremo il coraggio di guardare al suo esempio, l’indignazione che abbiamo nel cuore diventerà forza di cambiamento.
Giovanni Tonelli