Le città, si sa, nascondono un’anima “altra” che va oltre alle architetture note e famose, che si nasconde tra le crepe degli edifici e dei luoghi di periferia. A volte sembrano “non luoghi” per quanto si differenziano dall’idea che si ha di quel contenitore di cose che è la città. Nell’ultimo numero della rivista di storia, arte e cultura Ariminum (luglio – agosto 2014) è stato riportato alla luce uno di questi luoghi un po’ dimenticati ma che non hanno nulla da invidiare – per bellezza e per storia – ai monumenti che troneggiano nelle piazze principali di Rimini. La struttura individuata dagli storici della rivista è la bella Pieve di San Lorenzo in Monte, un edificio che nel suo stato attuale – secondo gli archeologi – rappresenta solo una parte di una chiesa altomedievale tra le più grandi del nostro territorio. A scriverne è Marcello Cartoceti che parlando delle bellezze italiane segnala che “Al di là di alcuni beni superstar il resto del nostro Bel Paese è ricco di tanti beni per così dire «minori», delle sorte di attori non protagonisti, anche di comparse. Questi, però, sono fondamentali; senza di essi il film sarebbe un’altra cosa, probabilmente poca cosa”. Cartoceti palesa la sua passione per la storia e l’archeologia dei colli di Covignano, “tra questi in particolare ha attirato la mia attenzione quel colle su cui sorge il complesso di San Lorenzo in Monte, oggi ridotto ad una semplice chiesetta di campagna con una casa canonica annessa. Quando negli anni Novanta mi recavo sul posto, notavo i grandi rocchi di colonna scanalati di epoca romana e le pietre, sempre della stessa epoca, riutilizzate nella facciata e in altre parti del complesso. Ricordo che nel campo dietro l’abside, quando aravano, si vedevano numerosi frammenti di ceramica non decorata che assomigliano a dei «tubi», nella cantina che porta alla grotta si vedeva un altro rocco di colonna inglobato dentro ad una muratura grossolana. Così ho iniziato il percorso di ricerca per cercare di capire da dove potessero venire tutti questi materiali e come si era sviluppato il complesso”.
Ripercorrendo velocemente la storia dell’edificio ricostruita da Cartoceti, possiamo dire che: la struttura venne menzionata come pieve, per la prima volta, nel 976; fino al XIII secolo è considerata una delle chiese più importanti del territorio, dalla quale dipendono anche altre cappelle; nel 1397 la chiesa passa di mano per volere di Papa Bonifacio IX che la concede ai frati di San Paolo d’Ungheria; nel 1420 questi frati lasciano il nostro Paese e il complesso viene concesso agli Olivetani insieme al complesso di Santa Maria Annunziata Nuova di Scolca; gli Olivetani la reggono sino al 1797, poi arriva la soppressione napoleonica e la chiesa diventa una parrocchia.
A livello archeologico il sito ha destato l’interesse degli studiosi per la gran quantità di materiali romani presenti >“difatti – precisa Cartoceti – tradizione vuole che, vista l’abbondanza di materiale lapideo antico, depositato in loco, vi fosse un tempio romano”. Tra tutti i materiali si segnalano dei rocchi di colonna che che contribuirono a formulare l’ipotesi di“una presenza templare in loco. Peraltro, in alcuni documenti medievali, si citano, ad esempio, il fundum Baleni per cui alcuni studiosi si sono spinti ad ipotizzare che questo toponimo potesse far riferimento ad un luogo in cui si trovava un tempio dedicato a Baleno, Apollo, Baleno e poi Giove Baleno… così come un altro fondo Minervia, citato nel 1059, sempre a San Lorenzo, avrebbe potuto far nascere altri sospetti che però non hanno mai avuto seguito”.
L’interessante studio di Cartoceti procede toccando diversi punti: dall’analisi dei capitelli, ai sopralluoghi a San Lorenzo della Sovrintendenza dei Musei e degli Scavi di Antichità di Bologna ai primi del ‘900, sino alle scoperte fatte nel 1923 quando il parroco, nel risistemare la chiesa, trovò nella navata i resti di un muro romano. Ma questi non sono che semplici spunti, per saperne di più su questo piccolo gioiello nostrano vi rimandiamo alla lettura di Ariminum.
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Angela De Rubeis