Tra le diverse chiese scomparse nel territorio riminese, in varie epoche e per varie cause (guerre, distruzioni, eventi naturali, passare del tempo, incurie varie) ve n’è una che merita di essere ricordata. Mi riferisco alla Chiesa medievale di San Giovenale, esistente fin dal primo millennio ed ubicata nel territorio di Viserbella. Ho trovato la prima notizia di questa cappella che aveva la dignità di parrocchia, leggendo l’opuscolo parrocchiale viserbellese dell’anno 2000 pubblicato nel 50° anniversario della costruzione della chiesa, nel quale, tra l’altro, si legge quanto segue: “in qualche trattato, è scritto che nella nostra zona, nel secolo XI c’era un luogo molto importante chiamato Chiesa di San Giovenale, dove convergevano non solo i pochi abitanti di Viserbella, ma anche quelli di Viserba e di Viserba a Monte”.
Incuriosito da questa citazione, mi sono recato presso diversi archivi storici e alla biblioteca Gambalunga di Rimini. Ho consultato documenti, manoscritti, carte topografiche di varie epoche e vari testi fra i quali quelli di Currado Curradi, Cesare Clementini, Luigi Tonini e Francesco Gaetano Battaglini. Procedendo nella ricerca di attestazioni che confermassero l’esistenza di San Giovenale, ho iniziato nella disanima, partendo dai documenti più antichi.
Procedendo con ordine
Vi è inizialmente una bolla di Papa Benedetto IX del 1033, con la quale venivano concesse al Monastero dei SS. Pietro e Paolo (l’odierna abbazia di San Giuliano), presso il ponte marmoreo, chiese e beni situati in città e nella diocesi di Rimini. A questo cenobio riminese, si legge, erano tra l’altro assegnate “la Pieve di San Martino di Bordonchio, la corte di San Patrignano con le chiese di San Giovenale, San Lorenzo in Filicino, di San Pietro in Salto, di San Mauro, la cella di San Martino in Riparotta, Santa Maria in Bulgaciano ed il Monastero di San Vitale dentro le mura della città”. Nella successiva bolla, del 25 marzo 1078, si ha conferma di questo. Infatti qui è detto che il Papa Gregorio VII concede a San Giuliano la pieve di Bordonchio con la corte di San Paterniano e le chiese di San Giovenale, San Lorenzo in Filicina, San Pietro in Salto, San Mauro e la cella di San Martino in Riparotta e metà della Pieve di San Vito con i fondi Quadraginta e Fontana Sabina (Apografi Garampi n. 32). Un’altra fonte di grande interesse è il Liber istrumentorum, del 1139, che riporta tre registrazioni dei possessi della canonica riminese nella città ed in alcuni plebati della diocesi. Limitandoci ad esaminare solamente quelle relative a tutto il secolo XII, nella pieve di San Vito, è nominato il fondo di San Giovenale in cinque registrazioni. La più antica è una donazione di terra del 1058: “Rivurn qui pergit S. luvenate”.
L’esistenza e l’importanza della chiesa si confermano meglio con la Bolla del Papa Lucio I del 1144. Da questo documento risulta che la Pieve di San Vito ha solo due chiese dipendenti che sono Santa Giustina e la nostra San Giovenale. Molti sono i documenti successivi, fino al 1300, in cui si trovano notizie sul distretto plebano di San Vito. Alla fine del ‘200, ad esempio, come viene elencato nelle Rationes decimarum Aemilia (collana di studi e testi sulla decima papale in Italia del 1933) le chiese di Santa Giustina, di San Giovanni in Perareto (alias S.Giovanni in Bagno), e di San Giovenale pagavano le decime. Vi sono poi pergamene e registri cartacei del monastero di San Giuliano, il quale, oltre a possedere molti beni nella zona, vantava il privilegio della elezione del sacerdote incaricato di reggere alcune cappelle del pievato.
Il prete tedesco
Sappiamo da questi documenti che nel 1368 fu nominato come rettore della chiesa di San Giovenale un prete tedesco di nome Giovanni e successivamente è ricordato Don Benedetto. Fin dalle più antiche notizie del secolo XI essa risulta sempre compresa nel distretto plebano di San Vito; tale legame è confermato da circa trenta documenti del ‘300, per la maggior parte relativa a possessi e diritti dell’Abbazia di San Giuliano su San Giovenale. Alla fine sempre del ‘300, ritroviamo nel Decimario di Leale Malatesti, vescovo, nella trascrizione di Antonio Bianchi dei primi dell’800, ed in quella settecentesca di Giuseppe Garampi, la conferma che nel territorio esisteva la chiesa di San Giovenale perché la medesima pagava, almeno fino al 1380, le decime alla diocesi (copie di manoscritti esistenti presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini).Tra il ‘400 ed il ‘500, mentre la pieve di San Vito estendeva la sua giurisdizione sull’antico distretto plebano di Bordonchio, tra Bellaria e Rimini, numerose sono le citazioni sulla chiesa di San Giovenale con fondi a lei attribuiti.
La chiesa scompare
Si perde memoria di questa chiesa solo nel XVI secolo, quando nell’anno 1571, esattamente il 13 di giugno, il Vescovo di Rimini Giovanni Battista Castelli compie una visita pastorale nella zona. Questi elenca come dipendenti da San Vito le chiese parrocchiali di San Martino in Riparotta, Santa Giustina, San Martino di Bordonchio a cui è unita la chiesa di Santa Margherita de Bellaere (Bellaria), ma non cita la chiesa di Viserbella, in vicinanza del litorale, caduta in rovina e quindi abbandonata dalla popolazione, anche perché il luogo era divenuto deserto, malarico e senza strade di comunicazione. A seguito di questo, si trasportarono le reliquie del Santo presso la chiesa San Martino in Riparotta con un apposto sacello nel 1567. A conferma di questo trasferimento esisteva una lapide seicentesca, citata dal Ferretti nella Prima visitatio diocesis (Archivio vescovile di Rimini) andata poi distrutta, insieme alla chiesa, nei bombardamenti del 1944. Tale lapide, posta alla destra del portale maggiore di San Martino in Riparotta, così recitava: “Essendo crollata la chiesa di San Giovenale, che si trovava vicino al lido, ed essendo ormai pochissimo frequentata, Giovanni Antonio Odescaichi, canonico rettore della Cattedrale di Rimini e provveditore per le necessità dei parroci, dopo aver trasportato qui le sacre reliquie, dedicò a San Giovenale questo sacello eretto dalle fondamenta ed ampliò questa chiesa di San Martino il 1 aprile 1567, al tempo in cui era vescovo di Rimini Giulio Parisani. Successivamente essendo caduto in rovina, il rettore Andrea Cicognani dottore in filosofia e sacra teologia, ne curò il restauro a gloria dei Santi Giovenale e Martino ed affinché, a vantaggio della sua anima, vi si celebri il divin sacrificio tre volte alla settimana e tre uffici di dodici messe ogni anno in perpetuo, con il consenso dei superiori, nell’anno del Signore 1645”. Del sacello, come si è detto, si perse memoria per le vicende dell’ultima guerra, anche se alcuni anziani di Viserbella che frequentavano la chiesa di San Martino di Riparotta testimoniarono di aver visto la lapide o colonna, prima dello scoppio del conflitto. Successivamente i beni della chiesa di San Giovenale, passarono alla parrocchia di San Giovanni in Bagno prima ed alla nuova chiesa di Viserba Mare poi, divenuta parrocchia nel 1925. Quanto all’ubicazione della chiesa di San Giovenale, il Clementini nel suo Raccolto istorico della fondazione di Rimino del 1621- 1627, a pag. 246, così la indica: “come anco era poco tempo fa la Parrocchiale di San Giovenale, tre miglia da lungi sopra il lito del mare”.
Dalla chiesa alla strada
Questa indicazione corrisponde alla posizione su una carta topografica di Forlì del 1888 che ho consultato, in cui figura San Giovenale circa a questa stessa distanza, a monte dell’attuale Centro di riabilitazione Villa Salus e della foce del rio Brancona, ora tombinato, confine tra Viserbella e Torre Pedrera. Rimase comunque il toponimo di San Giovenale fino alla fine del XIX secolo. Attualmente c’è poi una via San Giovenale verso Viserba Monte – Orsoleto, a testimonianza che anche in quella zona c’erano dei fondi appartenenti a questa antichissima chiesa, nonché parrocchia di Viserbella. Pertanto, da tutti i documenti che ho potuto consultare, fino alla prima metà del 1500, Viserbella, o perlomeno quel territorio limitrofo dell’entroterra, denominato San Giovenale, vantava una chiesa, (i cui resti oggi sono scomparsi) che funzionava da parrocchia, con un proprio sacerdote residente (rettore) con parecchi beni e che serviva gran parte della popolazione di questa zona rivierasca a nord di Rimini.
Enrico Morolli