Home Vita della chiesa La Rimini del ’700, un “ribollire” di idee

La Rimini del ’700, un “ribollire” di idee

La “necessità” di dare riconoscimento ufficiale a devozioni tradizionali sta anche a indicare la volontà della Chiesa di riaffermare la propria identità in un tempo in cui è chiamata a un confronto pesante con le nuove culture, che combattono la fede e l’autorità della rivelazione in nome della ragione, che sostituiscono alla morale cristiana il diritto naturale sciolto da ogni vincolo col soprannaturale, che impongono nuove prassi scientifiche, che mirano a fare della religione lo strumento di sacralizzazione del potere dei principi…

Anche a Rimini né la censura sulla stampa, né l’inquisizione riescono a rendere “immuni” dalle nuove teorie gli uomini di cultura. Ne sono investiti tanto i laici quanto i religiosi: dal cardinale Enrico Noris, alunno del seminario che viene indagato perché la sua Historia pelagiana è considerata pericolosamente vicina alle posizioni gianseniste in tema di predestinazione (sarà poi assolto); a Cristofano Amaduzzi di Savignano, alunno lui pure del seminario, che lasciò per frequentare la scuola di Giovanni Bianchi. L’Amaduzzi fu in stretti rapporti con i principali esponenti delle correnti giansenistiche italiane, tra i quali Scipione de’ Ricci, con cui resterà sempre in relazione, aderendo poi caldamente all’opera riformatrice da lui intrapresa quale vescovo di Pistoia e Prato. Antigesuita dichiarato, assecondò la politica religiosa del conterraneo e protettore Clemente XIV, che lo nominò professore di lingua greca nell’Archiginnasio della Sapienza a Roma e sovrintendente alla stamperia della Congregazione de Propaganda Fide.

Ma è soprattutto nel campo delle scienze che la nuova cultura sperimentale dà i suoi frutti più interessanti. A cominciare da Francesco Garampi (fratello del cardinale Giuseppe) che, dopo aver studiato astronomia a Bologna, dove ebbe modo di conoscere le innovative teorie di Newton, studiò diritto a Roma, dove strinse amicizia con il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich, matematico e astronomo, insieme al quale, nel 1736, iniziò le osservazioni del passaggio di Mercurio sul Sole. Tornato a Rimini, riuscì a impiantare un osservatorio, piccolo ma dotato di modernissime strumentazioni, tanto che, quando Benedetto XIV decise di redigere una carta geografica dello Stato pontificio, nel 1752 Boscovich e Cristopher Maire – che ne avevano avuto l’incarico – si servirono di questo osservatorio per determinare la latitudine di Rimini.

Certamente più famoso è Giovanni Bianchi (1693-1775) o Ianus Plancus, pseudonimo da lui adottato per distinguersi da un quasi omonimo medico torinese, Giambattista Bianchi, col quale era in polemica.
Giovanni Bianchi compiuti i primi studi irregolarmente, aveva cominciato a dar prova del suo sapere nell’accademia letteraria fondata dal vescovo Giovanni Davia. In seguito aveva seguito i corsi di medicina prima all’università di Bologna, acquisendo quella formazione scientifica estesa alla botanica, alla fisica e in genere allo studio della natura, che era propria delle facoltà mediche del tempo; poi a Padova, dove aveva frequentato i corsi di Morgagni e Vallisneri. A Siena dal 1741 tenne per tre anni l’insegnamento di anatomia, fondandolo sulla pratica della dissezione sui cadaveri – che per quei tempi rappresentava quello che la rivoluzione di Copernico era per l’astronomia – ; mentre bollava sprezzantemente l’insegnamento dei colleghi come “anatomia cartacea”. Come medico fece studi fondamentali sulla funzione del cervelletto e sui >Teremata (“mostri” di natura); famose le osservazioni sulla bimba nata con due teste e sull’ermafrodito.

Tornato a Rimini fondò un’accademia domestica, sull’esempio della secentesca accademia dei Lincei. Anche se non ebbe lunga durata, da questa scuola uscirono, oltre il già ricordato Amaduzzi, il diplomatico cardinale Giuseppe Garampi, il naturalista Antonio Battarra, il latinista Gerolamo Ferri, (già ricordato come insegnante del seminario), l’epigrafista Gaetano Marini, prefetto degli archivi vaticani, il fisiologo e patologo Michele Rosa.
Nonostante non si fosse mai spostato dall’Italia, il Bianchi fu in corrispondenza con i più prestigiosi studiosi d’oltralpe (gli “Oltremontani”). In occasione della pubblicazione di un opuscoletto dal titolo In lode dell’arte Comica (1752), in cui difendeva gli attori penalizzati dalle leggi civili ed ecclesiastiche, meritò addirittura un caloroso apprezzamento di Voltaire. Ma contestualmente ricevette anche la condanna all’Indice dei libri proibiti. Tutto era nato – sembra – dalla esibizione a Rimini di una cantante e attrice comica romana, certa Antonia Cavallucci, alla quale il non più giovane Bianchi era legato sentimentalmente. La censura era motivata dal fatto che nell’opera veniva introdotto un indebito confronto tra la cattolica Francia, nella quale gli attori erano privati dei conforti religiosi e della cristiana sepoltura e l’eretica Chiesa anglicana, che aveva permesso che un’attricetta fosse solennemente tumulata nella cattedrale di Westminster.
Il secondo motivo della condanna era rappresentato dal fatto che l’opera era scritta in “italiana favella”, il che rendeva più facile la diffusione di affermazioni considerate “troppo avanzate”. Questa condanna non gli impedì, peraltro, di divenire nel 1769 l’archiatra del papa Clemente XIV.
A lungo fondamentale per la conoscenza delle specie viventi dei foraminiferi è la sua opera più famosa, De conchis minus notis (Sulle conchiglie meno note), nata dall’analisi dei detriti di origine organica del sedimento sabbioso lasciato dalle maree sulla spiaggia di Rimini. Sollecitato da un interesse vivissimo per l’antiquaria, inoltre, raccolse nella sua casa, oltre che materiale naturalistico anche marmi scritti, bronzi, monete antiche e altri pezzi archeologici. Le sue collezioni naturalistiche ed archeologiche divennero così famose che i forestieri di passaggio per Rimini non mancavano di visitarle.

Studioso straordinariamente versatile, il Bianchi è esempio dei pregi e dei limiti della cultura italiana del Settecento: una cultura trans-disciplinare, capace di passare con disinvoltura da un ramo all’altro dello scibile, animata dalla volontà di percorrere nuove strade di ricerca, ma incapace di affrancarsi dal passato – continua a mantenere, per esempio, la lingua latina come unico strumento di comunicazione tra i dotti – e incapace di uscire dalla provincia.

(14 – continua)
Cinzia Montevecchi