Tecnicamente sono definiti come Remotely Piloted Aircraft Systems. Ossia velivoli senza pilota con limitate capacità di volo autonomo, controllati da terra con un radiocomando. Più comunemente sono noti come droni. Il vero tormentone di questa estate 2014. Oramai sono e servono dappertutto. Per fare documentari, per filmare situazioni di emergenza. Ma anche per immortalare dall’alto vip, attori, personaggi del gossip.
Ma cosa sono veramente questi velivoli senza pilota?
“La loro origine – spiega Giampiero Gentili, ex direttore di aeroporto Enac – risale a decenni di anni fa quando, più per diletto o per uso di intelligence, si costruirono i primi aerei radiocomandati. Il loro impiego si estese poi in agricoltura per lo spargimento di sostanze chimiche e per riprese televisive in ambiente sensibile (incendi-naufragi). Fu con la guerra nel Vietman che si cominciò a pensare seriamente, a livello di studio, a velivoli ed elicotteri privi di piloti e controllati a distanza. La perdita di piloti in azioni di guerra colpiva l’opinione pubblica più che perdite umane di terra in quanto alla persona veniva associato il mezzo aereo, il complesso dei missili di difesa, le bombe a bordo del velivolo, la potenza di fuoco… Si cominciarono, così, a studiare sistemi che potessero sostituirsi ad aerei costosi e sofisticati pilotati da persone altamente addestrate e qualificate. Inizialmente tali velivoli erano destinati solo alla sorveglianza ed all’esplorazione; e nacquero gli UAV, Unmannned Air Vehicle. L’elettronica fu di grande aiuto per elaborare sistemi di guida e controllo che potessero sostituirsi sempre più alla condotta di un pilota. Cosiccchè si poterono creare sistemi d’arma capaci di lanciare missili ed effettuare mitragliamenti con gli UCAS, Unmanned Combat Air System. Da questo punto in avanti è successo di tutto: droni che portano i pacchi a domicilio, fotospot che entrano nelle case, dimensioni che vanno da un aereo da bombardamento ad un palmo di mano. Tutti i controlli e comandi di volo sono “nanorizzati”, tutti gli strumenti di rilevamento (fotocamere, sensori all’infrarosso) di dimensioni incredibilmente piccole, tutto è computerizzato”.
Peccato che questi straordinari oggetti volanti possano rompersi, cadere, precipitare, far male.
“Le palette delle eliche e dei rotori possono fare la barba a qualcuno, tagliare fili delle luce e del telefono, e quanto altro l’esperienza ci insegna. E l’uso dello spazio aereo è, e deve essere, regolamentato: vuoi per quote, livelli semicircolari, settori, altezza, altitudine, per tipologia topografica, orografica, per presenza di persone e centri abitati. Il controllore di un volo drone dovrà conoscere un minimo di circolazione aerea se non anche qualche nozione di condotta del volo. E lo spazio aereo controllato, raggio 8 km dagli aeroporti, inizia dal suolo”.
Il volo di un drone può interferire con quello di un ultraleggero?
“Se non viene fissata una quota minima e massima, sì, quota che tanto minima non potrà essere su centri abitati ed assembramenti di persone. La questione, però, è un’altra: il pilota del drone dovrà essere assicurato e le assicurazioni sono pronte a valutare i rischi di questo nuovo veicolo? Ci si preoccupa di salvaguardare la privacy di chi, in fondo, non cerca altro che la pubblicità ed è facile che sia proprio lui a chiamare il paparazzo di turno, ma non di regolamentare le tipologie, l’uso, i mezzi e la qualificazione di chi usa i droni”.
Ma nessuno sta facendo nulla? I rischi sembrano molto alti.
“Negli USA sono anni che una commissione specifica sta valutando la possibilità del contemporaneo uso degli spazi aerei da parte di aeromobili pilotati e di controllo remoto. Per ora le risultanze sono di opposizione all’apertura, specie da parte delle associazioni dei piloti di linea. In Gran Bretagna, nell’aprile scorso, l’Aviazione Civile ha comminato la prima sanzione per volo pericoloso e illegale di un UAV autocostruito: 800 sterline di multa oltre a 3.200 sterline di spese legali! Da noi cosa si fa? Non è da pensare che ENAC se ne stia con le mani in mano. Qualcuno ci starà lavorando sopra, magari a livello europeo (EASA), stando bene attento a non dar fastidio ai produttori di droni e lasciando all’oscuro il pubblico della problematica. Almeno fino a che non succede qualche incident, magari ad un personaggio in vista e pronti, subito dopo, a scopiazzare malamente qualche normativa già in vigore in un Paese vicino”.
Giampiero Gentili