Home Vita della chiesa Corsi, l’ultimo dei vescovi “romani”

Corsi, l’ultimo dei vescovi “romani”

Nonostante tutte queste difficoltà l’azione pastorale prende nuovo vigore con l’ultimo dei vescovi “romani” (in realtà era originario di Firenze), Domenico Maria Corsi (1687-1697), eletto – dopo ben quattro anni di sede vacante – mentre era cardinale legato della Romagna, carica politica che continuò a ricoprire insieme a quella pastorale per i primi tre anni del suo mandato.
Nei dieci anni in cui rimase a Rimini fece visita alla città e celebrò nel 1696 un sinodo, le cui costituzioni ricalcano quelle dei predecessori, ma l’andamento più omiletico e narrativo è indice di un atteggiamento più “paterno”.

Di grande interesse sono poi gli allegati alle costituzioni sinodali, una ventina di istruzioni, ammonizioni, editti, censure rivolte ai laici, ai parroci e ai responsabili della pastorale. Ai genitori raccomanda la vigilanza sul rispetto dei doveri religiosi dei figli, la correzione degli atteggiamenti peccaminosi, la custodia della moralità; a quanti pensano di indirizzare i figli in seminario presenta analiticamente i doveri dei seminaristi, descrivendo il ritmo delle giornate, in cui si alternavano momenti di preghiera, di meditazione, di studio.
Le raccomandazioni rivolte al clero riguardano le ordinazioni sacerdotali, le “soddisfazioni dei legati pii”, il culto del Santissimo, il viatico, l’amministrazione dei beni delle chiese, l’insegnamento della dottrina. Una sollecitudine particolare è infine rivolta a coloro “che hanno da ricevere il sacramento della cresima”.

Indicative di un nuovo stile sono due lettere pastorali rivolte ai vicari foranei. La prima del 1692 indica tra i compiti dei vicari, oltre al controllo sull’insegnamento della dottrina e sui comportamenti dei parroci, anche la collaborazione alla giustizia vescovile (accogliendo denunce, informazioni e esaminando i testimoni, per i reati di competenza del foro ecclesiastico o di foro misto, per i reati, cioè, perseguibili da entrambi i tribunali, quello ecclesiastico e quello laico, come lo stupro, l’adulterio, il matrimonio clandestino), e raccomanda il buon esempio personale.
La seconda, del 1695, invita i vicari a dirigere l’esame dei casi di coscienza e le “congregazioni dello spirito”, cioè quegli incontri periodici ai quali erano invitati i preti del vicariato per riflettere comunitariamente sui doveri della vita religiosa, per essere aiutati a diventare “un solo cuore e un’anima sola”.

La premura verso il clero, specie quello meno colto delle campagne, è testimoniata anche dalla pubblicazione, nel 1698, di un libretto commissionato al riminese Giuseppe Malatesta Garuffi, che era stato bibliotecario della biblioteca Gambalunga ed era allora arciprete della chiesa dei Ss. Biagio ed Erasmo, a Misano. L’opera dal titolo “il parroco all’altare che spiega al diletto suo popolo gli Evangelii di tutte le domeniche ed altre feste dell’anno”, era rivolta ai parroci per aiutarli nella preparazione dell’omelia.

In accordo con il Consiglio comunale, il vescovo Corsi fece costruire, inoltre, un ospedale e a sue spese fece edificare una chiesetta, dedicata alla Beata Vergine, contigua alla cattedrale di Santa Colomba e la donò alla Compagnia del SS. Sacramento, istituendo un legato testamentario perché un cappuccino vi celebrasse una Messa ogni sabato.
Riprese anche, come si è visto, la causa che opponeva ormai da quasi un secolo Rimini a Ravenna, ottenendo un temporaneo successo.
Il suo decennio si segnala, dunque, per il forte contenuto pastorale tanto che si può affermare che anticipi in larga misura il “ritorno al concilio” che caratterizzerà il cinquantennio successivo.

(10 – continua)

Cinzia Montevecchi