“C’è un anfiteatro che nessuno va a visitare perché è sepolto”. Così, apertis verbis, si era espresso su queste pagine Luciano Gorini, ingegnere oltre che storico presidente dell’Azienda di Soggiorno di Rimini. L’anfiteatro, lo sappiamo, è quello di via Roma, secondo solo a quello della Capitale in epoca classica, e in seguito ridotto, dal tempo e dall’inerzia di chi il tempo lo ha lasciato passare, a pochissimi resti.
Sepolto perché coperto, secondo Gorini, dalle baracche del CEIS, il Centro Educativo Italo Svizzero diretto nel dopoguerra da Margherita Zoebeli. Un inquilino un po’ ingombrante, la cui presenza congela, dal 1946, l’ipotesi di nuovi scavi. La soluzione? Farlo trasferire. Come? Spostando una ad una le baracche in via Dario Campana, tra via Gori e via Muscolini. Il tutto nel giro di due anni e all’ipotetica cifra di 4.500.000 euro. Ha fatto i suoi conti l’ingegnere, che da dieci anni rilancia il suo appello tra sostenitori e detrattori. Chissà dove si colloca il diretto interessato, il Centro Educativo Italo Svizzero.
Oggi, su queste stesse pagine, risponde il direttore del CEIS, Giovanni Sapucci, che non disdegna il progetto ma si dice scettico sulla sua fattibilità. Si mette a disposizione di Gorini, e della città, ma non senza chiarire alcuni punti.
Spostare il CEIS per valorizzare l’anfiteatro. Ma il CEIS che ne pensa?
“Non ci siamo mai opposti alla possibilità di valorizzare l’anfiteatro. Il CEIS è un bene della città, e come tale è a sua completa disposizione. Nessuna obiezione, quindi, se si deciderà di spostarlo. Poniamo solo tre condizioni: che la nuova area sia in centro, com’è sempre stato, storicamente, per il CEIS. Che il nuovo spazio consenta di realizzare un villaggio simile a quello attuale, con un’architettura semplice e su un solo piano. Infine, che sia la città a garantire le spese del trasferimento. Ad eccezione della Betulla, la casa in muratura che si vede da via Roma, l’associazione non è proprietaria di alcun bene, e noi non abbiamo soldi se non quelli della gestione, con cui paghiamo la manutenzione e gli educatori”.
Che idea si è fatto della zona proposta dall’Ingegner Gorini?
<+testo_band>stata presa in considerazione già nei primi anni Ottanta, in occasione del primo Piano Regolatore. La novità riguarda piuttosto la volontà della proprietaria di venderla a un prezzo accessibile. Ma non ho elementi sufficienti per valutare, e non so quanto sia possibile per la città acquistare quello spazio”.
Passiamo ai dettagli tecnici: lo spostamento delle baracche le sembra realizzabile?
“Qui viene un primo nodo rispetto all’idea di Gorini. Lo spostamento delle strutture esistenti mi pare un presupposto poco realistico. Si tratta di baracche di legno, montate nel ‘46, dunque già vecchie. Per di più, nel tempo i supporti originali sono stati cambiati e le strutture non si possono più smontare e rimontare. Non si tratterebbe allora di un trasferimento, ma di una ricostruzione, anche qualora si scegliessero altri prefabbricati. Anche i costi non sarebbero quelli di una ricostruzione: non più su 4.500.000 euro, ma almeno 20 milioni di euro, secondo una nostra approssimativa valutazione”.
E il costo affettivo, quale sarebbe per voi?
“Siamo molto legati a questo posto ma ci rendiamo conto che lo spazio attuale è piuttosto sacrificato rispetto alle potenzialità di lavoro che potrebbe attivare questa realtà. Non a caso, da un anno a questa parte abbiamo deciso di partecipare alle gare d’appalto per la gestione di servizi all’esterno del CEIS. Abbiamo comunque un’idea precisa di come debba essere il giusto ambiente scolastico, e in caso di trasferimento, vorremmo entrare nel merito della progettazione. Ma soprattutto vorremmo uscire da qui con la certezza di entrare subito in un altro posto. Quelle educative sono realtà delicate, e hanno bisogno di continuità, di protezione. Il CEIS poi, come l’anfiteatro, ha un valore storico che andrebbe salvaguardato”.
Insomma uno scontro tra titani…
“È vero che l’anfiteatro è un bene che ha oltre 2mila anni, ma anche il CEIS fa parte della storia di Rimini, e non di una storia marginale. Era nato per risollevare la città nel momento in cui era più disperata, e a partire da quella prima funzione, è riuscito a collocarsi come una delle esperienze più avanzate in campo educativo, negli anni ‘50 e ‘60 e ancora oggi. Visitato da persone di tutto il mondo, non c’è nessuno che non riconosca il suo valore, nessuno che dica «ll CEIS non serve». Perciò non mi sento in competizione con l’anfiteatro, non devo difendere il centro da questo punto di vista”.
Da cittadino, come vede la questione dell’anfiteatro? Sosterrebbe la proposta di ulteriori scavi?
“Mi porrei alcune domande. Intanto perché non so cosa ci sia effettivamente sotto le strutture, e poi perché mi chiedo quanto sia sostenibile il progetto. Ho un po’ l’impressione che ci si infilerebbe in un impegno infinito e troppo oneroso, mentre sarebbe importante valorizzare quello che già c’è. Vedo l’anfiteatro tutti i giorni e, se si esclude qualche sporadica iniziativa, non si sta facendo molto. Credo che la proposta, per quanto meritoria, rifletta più un’aspirazione generale che qualcosa di effettivamente realizzabile. Proprio lavorando con i bambini ho imparato che le affermazioni non bastano. È giusto avere un sogno, ma bisogna anche fare un’analisi della realtà”.
Isabella Ciotti