Non me lo perdonerà mai. Donna schiva, perché semplice, ordinaria; donna delle “seconde file”, perché riteneva normale anche l’essere consumata dal tumore a soli 46 anni.
Eppure, “nessuno accende una luce per metterla sotto il moggio [letto]” (Mt 5,15) e se oggi non scrivessi di lei, sarebbe il mio Signore a non perdonarmi.
Lui, proprio Lui che l’ha accesa e messa letteralmente sopra un letto, affinché facesse luce a tutti quelli che sono nella casa: la nostra Chiesa riminese.
Sorridente e attenta all’altro, generosa e gioiosa, profonda e familiare. Quando la incontravi in ospedale era lei per prima a chiederti: «Come stai?», con quello sguardo capace di “passarti dentro” e dirti senza dirtelo: «Ti voglio bene, mi sei caro, è bello che sei qui».
La prima volta che l’ho incontrata credevo mi avesse scambiata per un’altra persona: sapeva molte cose di me ed io quasi nulla di lei; mi chiedeva del mio lavoro, con riferimenti specifici e puntuali e, mentre parlava, tra i morsi del dolore che tentava di nascondere, dentro di me iniziavo a pensare: “Oddio! Forse l’ho già incontrata da qualche parte e non ricordo dove!”. Mi ci volle qualche momento per capire, ma fu subito chiaro: ero davanti a una magnifica vetrata, come quelle delle cattedrali gotiche che gettano luce a cascata.
Le sue sorelle mi dicono che la malattia ha fatto emergere e risaltare le sue doti. La “Vergine del sì”, che il 12 giugno scorso è venuta a prenderla per mano per condurla alle nozze senza fine, direbbe piuttosto che in quegli anni il Padre stava cesellando la sua vetrata, con le forme del Figlio e i colori dello Spirito Santo, per affacciarsi sul suo giardino riminese.
La nostra sorella Ornella era infatti una fontana di Luce, capace di scaldarti e darti da bere. Riceveva fino a trenta visite al giorno e chi l’assisteva lavorava più come “cane da guardia” che da infermiera, affinché le cure potessero fare il loro corso.
A chi le chiedeva di implorare la guarigione rispondeva di no, «perché è troppo quello che ho ricevuto dalla malattia»; alla madre generale, allora, non rimaneva che dirle: «Chiedi allora la guarigione a nome mio!», ma lei chinava il capo. Non aveva il coraggio di fermare la mano dell’Artista, quel Padre nelle cui mani si era totalmente abbandonata.
Amava profondamente la Parola di Dio, su cui sostava fedelissima e puntualissima, ogni giorno; negli ultimi mesi si lamentava di non riuscire a pregare; al che il vescovo Francesco dovette paternamente e dolcemente riprenderla, dicendole che lei ora stava pregando 24 ore al giorno.
In una notte, la settimana prima della morte, il Signore le ha lasciato nel cuore una parola: «Ti ho scelta e ti ho prediletta». E così è stato. Il 12 giugno, festa di Sant’Onofrio, alle ore 12 in punto, quando le sorelle pregano la Vergine del sì, il Padre ha deciso di chiudere le vetrate della sua finestra: la sposa era pronta per il suo Sposo. Ad accompagnarla non solo la Vergine, ma anche 23 sacerdoti e una chiesa di Sant’Agostino straripante.
Ornella ha offerto la sua vita per le giovani vocazioni.
Elisabetta Casadei