Le storie più belle, sono quelle che ancora non conosciamo. Si fanno trovare per caso, magari in una fresca giornata di primavera, magari a pochi passi da casa. O dalla chiesa. Capita così di scoprire, oltre i cancelli della curia vescovile, una curiosa stanza sotterranea: all’ingresso c’è un leggio, con un libro di spartiti già aperto. Un organo, un pianoforte, una grancassa. Nell’aria note antiche e inascoltate, suoni che sanno di rispetto e devozione. Non si vedono, ma si respirano sogni. E c’è uomo, poco più che 60enne, che si dice condannato al dono della musica. Pochi sanno che quell’uomo, oltre che di queste note, è custode del Tempio Malatestiano. >Enzo Gobbi, dipendente della Curia dal 1996, è musicista dalla nascita. Ballava la sua culla quando, ancora bambino, in casa si ascoltava radio Capodistria. E quella chitarrina, che all’età di 6 anni lo aveva incollato a una vetrina al lato del «Fulgor», oggi è ancora disegnata nei suoi occhi. Ma troppi anni sono dovuti passare prima che Enzo riuscisse a toccare con mano qualche strumento. I soldi mancavano, e il tempo che aveva doveva dedicarlo a campare. Ci ha provato, durante il servizio militare, a studiare la chitarra, come pure a frequentare il conservatorio, tra un lavoretto e l’altro. Ma più di tanto non si poteva proprio permettere. Così, dopo l’esame di armonia e solfeggio, addio agli studi. E di fronte alla scuola di fisarmonica suggeritagli dai professori, un altro passo indietro. Eppure la musica lo ha sempre aspettato.
“Credo che tutto sia scritto – ripensa oggi – c’erano degli appuntamenti precisi, dei luoghi in cui dovevo essere”.
Come quando lo zio mandò un venditore di fisarmoniche al distributore in cui lavorava, e il suo superiore decise di comprargliene una per 150mila lire.
“Mi disse di portarla a casa, e che l’avrei pagata quando potevo”.
O come quella volta in cui, qualche anno dopo, un amico si offrì di aiutarlo ad acquistare una pregiata e costosissima cornamusa. E anche quando i primi guadagni gli hanno permesso di comprare da solo i suoi strumenti, gli appuntamenti non hanno cessato di arrivare. “Incappavo in brani eseguiti da strumenti a cui non riuscivo a risalire. E poi, in luoghi e giorni che non mi aspettavo, mi ritrovavo a riascoltarli dal vivo, di fronte a quegli stessi strumenti che cercavo da tanto”.
È così che Enzo ha iniziato a comporre la sua personale fabbrica di suoni, che la Curia gli ha concesso di conservare nell’edificio. Anni spesi a girare su e giù per l’Italia, tra piccole botteghe di grandi artigiani, quelli di una volta, che per realizzare ogni strumento impiegano mesi e mesi della loro vita. La fisarmonica di Enzo, che lui chiama la mia principessa, è stata commissionata nel 1977 e ultimata nel 1981. Altri due anni sono serviti per la cornamusa scozzese, la musette, realizzata nel 2008 da un artigiano di 80 anni. E poi ci sono il violino coreano, la balalaika, il bandura russo. C’è anche la ciaramella, collega della zampogna nel periodo natalizio e protagonista di una celebre poesia di Pascoli. Da Colorno arriva la ghironda, strumento medievale che dalla Francia ha raggiunto l’Italia attorno al 1300. Peccato che i brani italiani siano andati quasi completamente perduti.
“Nel paese era usato come strumento di corte e la storia vuole che un ricco signore del tempo, vedendo la ghironda in mano a un contadino, decidesse di escluderla dall’orchestra perché troppo popolare. E così abbiamo perso 600 anni di questa musica”.
Il «babbo» della ghironda è l’organistrum: Enzo ha anche quello, uno dei due esistenti oggi in Italia. Nato prima dell’anno Mille, era stato ideato da un frate per accompagnare le «Cantigas» spagnole e allo scopo di elevarsi verso Dio.
“Il bello degli strumenti è che non nascono così, per idea, ma perché Dio ci spinge ad ascoltare ciò che abbiamo dentro. Chi costruisce un nuovo strumento lo fa perché sente dentro di sé una musica che non riesce ad esprimere con gli strumenti esistenti”.
C’è anche la nyckelharpa, viola svedese del 1200, il cui arco anticipa quello del violino, che arriverà solo 200 anni più tardi. Dolcissimo quanto complesso da suonare: quattro corde del suono e quattro di risonanza ad ogni vuoto. “Per accordarlo u iè da dvént mat”, ride Enzo. Ma a suonarlo, ci prova volentieri. Tra un lavoro e l’altro, ogni giorno il custode del Duomo scende nella sua stanzetta, di solito nella pausa del primo pomeriggio, e poi di nuovo la sera, fino a tarda notte.
“Perché la musica, quando ti è donata, è un esserino che non ti lascia in pace. Quando ho sete di uno strumento scendo qui qualche minuto e poi risalgo”.
Quando il tempo glielo permette Enzo dà lezioni di musica ai più giovani, o accompagna le funzioni religiose. Da tre anni, ad esempio, possiamo sentirlo alla Messa di Natale in Duomo mentre suona la «ghironda» e la «cornamusa». Ed è ancora lui, quando il Vescovo porta il bambin Gesù nel suo giaciglio, ad accompagnare il rito con la «zampogna». Alla fine, Enzo ce l’ha fatta. Dio gli ha dato la sua musica. “Non subito, è vero. Ma al momento giusto”.
E come ogni dono, anche la musica va accolta con umiltà e rispetto.
“Dobbiamo ricordarci che in realtà le nostre sono solo espressioni della musica. La musica è un pensiero di Dio, ed è una sola”.
Isabella Ciotti