Spesso, l’anima di una città si confonde nell’anima delle persone, dei luoghi, delle strade, delle piazze, di un certo modo di vivere le giornate, i tempi del lavoro e i tempi del riposo. L’anima della città è muta se non si alimenta di questi gesti e attitudini. Rimini ha tante anime. Lo hanno già detto i grandi “studiosi” della città, chi ha già favellato intorno ad una storia che è spesso storia recente. Rimini è un polpo, e non per i tentacoli che allunga, ma per i suoi tre cuori.
Il polpo ha tre cuori, senza di essi non riuscirebbe a pompare il suo sangue verso le “gambe” che lo sostengono e gli permettono il movimento e l’esistenza. Il sangue che fluisce è pompato da tre piccoli grandi motori che lo tengono vivo. Rimini è così, funziona a tre motori: da una parte c’è il mare, dall’altra il centro e tra le due c’è quella piccola pietra che è il Borgo San Giuliano. Se è vero che il Borgo si può identificare nel centro storico di Rimini, è altrettanto vero che chi ci capita per caso non può fare a meno di dire: “sembra di essere in un’altra città, non sembra nemmeno di essere a Rimini”. Questo status di “luogo fuori dal tempo” è frutto di una coltivazione. A parte la via Marecchia – e viuzze limitrofe – che mantiene intatte le atmosfere del vecchio borgo dei pescatori e le magie evocate da Federico Fellini ci sono spazi incontaminati, sopravvissuti a due guerre mondiali. Tra tutte segnaliamo la trattoria de La Marianna che nel 2013 ha celebrato i suoi primi 100 anni di storia. Di questo luogo parliamo perché nel tempo è stato punto di aggregazione dei locali e di passaggio per molti avventori.
Classica trattoria a conduzione familiare è passata di mano in mano sino ai giorni nostri. E per non tradire la tradizione del “fare tutto in casa” anche il libretto prodotto per festeggiare le 100 candeline è stato fatto in casa: testi di Roberto Balducci, nipote della Marianna e illustrazioni di Marianna Balducci, bisnipote della Marianna.
Le radici della trattoria – si legge nella breve pubblicazione – “affondano negli ultimi anni del 1800 quando la famiglia Morri, conosciuta nel borgo col soprannome dei Tracanton, con il capostipite Pasquale, il figlio Battista, la moglie Ester Cambris, futuri suoceri della mitica Marianna, gestiva una modesta cantina con rivendita di vino sfuso. L’attuale palazzo, sede della Trattoria, era una tipica casa a schiera del borgo con pianoterra e piano superiore”.
Ma ciò che più colpisce nel racconto di questa vicenda è la narrazione dei “tipi romagnoli” che vi sono passati. A parte le donne di cucina tra le quali la Frizouna, la zia materna Nazarena che friggeva benissimo ogni cosa, si racconta di Bisigna: “personaggio del borgo, semplice e burlesco, costruiva casse da morto dove qualche volta per scherzo dormiva adagiato come un cadavere in vetrina nella sua bottega di fronte a tutti i borghigiani che lo vedevano passando. Lui aiutava la Marianna a scaricare le botti di vino e nei lavori più pesanti”. Da qui è passato il Canini che tirava il collo alle galline e scuoiava i conigli (polli, conigli e trippa erano tra i piatti principali e più apprezzati).
“L’osteria rappresentava il fulcro della socialità del borgo. Qui ci si sfogava per le miserie e i drammi di ogni giorno, pure ci si divertiva nella festosa e allegra convivialità, perdendosi ore e ore nei mitici racconti dei borghigiani, a volte iperbolici fino a sfociare nelle bugie più clamorose. Qui ci si raccontavano la cronaca e la storia, le imprese d’amore e quelle sportive. Ci si prendeva in giro, ci si offendeva, nascevano liti violente sostenute dal vino generoso, discussioni accanite sulla politica e sullo sport, ma anche solidarietà e grandi amicizie”. Sono questi i luoghi nei quali ha battuto e ancora batte uno dei tre cuori del “polpo Rimini”.
Angela De Rubeis