Sulla cannabis un po’ di fumo negli occhi è stato gettato. No, non quello esalato dal classico spinello, per quanto irresistibile sia il gioco di parole, ma quello dei pregiudizi e dei falsi miti che proprio dal mondo della droga sono nati, finendo per intaccare anche l’ambiente medico. Troppo spesso, infatti, si confonde la marijuana utilizzata a scopo ludico con i derivati di sintesi prodotti e registrati come farmaci, con il risultato di sminuirne gli effetti benefici e di rallentare ulteriori studi in materia.
Unanime l’opinione degli specialisti e dei medici riminesi intervenuti al convegno intitolato L’uso terapeutico della cannabis, tra mito e realtà: quanto il proibizionismo ha influito sull’uso medico: ci vuole chiarezza.
E pensare che il nostro stesso corpo è dotato di recettori dei principi attivi cannabinoidi.
“Siamo tutti così drogati che produciamo cannabis ogni giorno – spiega William Raffaeli, presidente della fondazione ISAL per la terapia del dolore – si chiama anandamide quella generata a livello endogeno. Ed è grazie ai nostri recettori che la marijuana assunta dall’esterno genera i sintomi che conosciamo: ipomobilità, catalessi, ipotermia”.
L’Italia dice sì.E dire che la pianta dagli effetti stupefacenti, sbarcata in occidente solo nel XIX secolo, viene usata a scopo terapeutico da almeno 3mila anni. L’efficacia del suo impiego nel controllo di alcune patologie croniche e nel trattamento del dolore è stata riconosciuta anche in Italia, con un decreto del 2007 che ne ha sancito l’utilità e l’utilizzabilità. Il problema è che finora è stato più facile a sancirsi che a farsi: sul territorio nazionale si possono acquistare preparazioni «galeniche magistrali», prodotte cioè dal farmacista in base a una precisa prescrizione medica, ma non esistono altri farmaci cannabinoidi. Quelli registrati all’estero, in commercio il «Marinol» e lo «Sativex», non sono reperibili nelle farmacie italiane e devono essere importati seguendo un tortuoso iter burocratico, con l’approvazione del Ministero della Salute e una conseguente lievitazione dei costi: fino a 40 euro al grammo e 700 euro per un mese di terapia, tutti a carico del paziente. E se l’uso è autorizzato, ma non ben disciplinato, esiguo resta il numero di ricette, esigua la casistica, esigue le possibilità di fare ricerche più approfondite.
Cosa sappiamo al momento? Che la cannabis allevia i dolori e la spasticità della sclerosi multipla, e che questa è finora l’unica patologia sulla quale è stato riconosciuto un reale beneficio. Sappiamo che la prescrizione è valida solo per la sclerosi e solo se redatta da un neurologo. Sappiamo che può avere effetti positivi su dolore, nausea, mancanza di appetito, epilessia. Sappiamo che possono manifestarsi effetti collaterali, certo, come l’ipotensione, gli attacchi di panico o la dipendenza, ma che il rischio non è superiore a quello previsto da qualunque altro tipo di farmaco. E anche la cannabis lo è.
“La lingua inglese utilizza il termine drugs per indicare sia le droghe sia i farmaci – fa notare lo psichiatra, Leonardo Montecchi – l’italiano, invece, genera una confusione semantica per cui le droghe fanno male e i farmaci guariscono. Ma tutti i farmaci hanno un’azione terapeutica e una tossica. Siamo immersi in uno stereotipo che ci impedisce di affrontare le cose per come sono realmente. Io, ad esempio, sono sempre stato sconcertato dal fatto che si può usare la morfina e non la cannabis, quando la morfina è più pericolosa”.
Per di più, come ricorda Raffaeli, spesso i cannabinoidi sono utilizzati per il trattamento del dolore nei pazienti allo stadio terminale.
“E in terminalità, purtroppo o per fortuna, non ci sono rischi”.
Come superare dunque il vuoto normativo che impedisce ai medici di base di dare agli ammalati spiegazioni esatte su come ottenere i farmaci? Come evitare che il costo dell’acquisto sia a loro carico?
Il via libera dell’Abruzzo. A risolvere questi nodi ci ha pensato l’Abruzzo, dandosi una legge che disciplina il vigente decreto nazionale e facilita finalmente le cose: i medicinali potranno essere prescritti anche dai medici di famiglia, e il loro acquisto sarà a carico del Servizio sanitario regionale. Approvata lo scorso 4 gennaio, la legge è stata accolta di buon grado dal Consiglio dei Ministri, che ha deciso di non impugnarla davanti alla Corte Costituzionale. Ciò significa che l’Abruzzo ha aperto una strada, e che qualunque altra regione italiana potrà seguire il suo esempio. È quanto si auspica per l’intero paese, William Raffaeli: “perché ci sia per tutti un diritto certo, e sia per tutti un’opportunità di cura e non una casualità da prendere sul mercato nero”.
Isabella Ciotti