I clienti del dottor web non danno segni di cedimento. E non è solo un’impressione. A confermarlo, infatti, i numeri emersi da un’indagine condotta in 10 paesi dal network PriceWaterhouseCoopers, e presentati nel Forum organizzato dalla Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere italiane. Dati attendibili, dunque, per un fenomeno che vede il 59% dei pazienti ricorrere a internet (computer e smartphone) per ottenere informazioni sulle malattie, sulle cure, sui trattamenti in alternativa alla classica visita dal medico. Viene a mancare il contatto con la figura tradizionale di medico che si sfuma tra i bit delle fibre ottiche e i pazienti reali che usano di buon dose internet (il 43%) anche per contattare medici, specialisti e istituzioni sanitarie.
A dir la verità in questo momento la chiave con la quale vengono lette queste informazioni è quella di cercare di capire se e in che modo si può utilizzare internet. L’idea che l’e-medicina possa conquistare pezzi crescenti di realtà sposta l’orizzonte verso il costruttivo utilizzo del mezzo, per divulgare informazioni, comportamenti, etc…
Il problema è capire se siamo ancora in tempo. Come spesso accade, con il web, mentre i luminari studiano il da farsi la base si muove a modo suo, lungo direttrici non sempre specchiate e alla fine i luminari ci arrivano tardi e solo per mettervi una pezza, mentre tutt’intorno è la giungla.
Sulla medicina, sulle cure, sulle malattie, sui malati questa giungla è assai più pericolosa e non è necessario spiegare il perché.
Hai una fettina di pollo e non sai come cucinarla? La ricetta su internet va benissimo. Ma se hai un mal di testa e vuoi cercare di capire i motivi, la cosa diventa più pericolosa. La “ricetta” degli utenti, i consigli, i racconti nei blog delle esperienze degli altri può virare verso l’autodiagnosi e l’autocura. Un buco nel quale non cadono solamente gli ipocondriaci ma anche le persone “normali” che entrando in confidenza con il web e si fidano del mezzo, come si fidano di un’amica alla quale chiedono la ricetta per “ammazzare” la fettina di pollo, appunto.
Il boom della ricerca d’informazioni sulla salute nel mondo virtuale può trasformarsi in rischio per la salute nel mondo reale?
Martina (non vuole sia noto il suo cognome) 33 anni, laureata, combatte da 6 mesi con un disturbo gastrico. Cerca di fare da sola, si aggiusta mangiando in bianco, ma non ottiene risultato. Si affida ad internet e digita sul motore di ricerca i suoi sintomi. La diagnosi che arriva dalla rete è celiachia. Martina pensa di essere celiaca. Comincia una dieta gravosa e costosa e ad andare dal medico nemmeno ci pensa. Passano così altri 4 mesi prima che le amiche la convincano che forse andare da un medico reale sarebbe cosa buona e giusta, visto che i suoi mali non accennano a diminuire. Devono intervenire i genitori per convincerla e alla fine la diagnosi è tutt’altra. Martina ha una malattia che deve curare con delle medicine da assumere quotidianamente per il resto della sua vita. “Giuro che non sono pazza, leggevo di ragazze che avevano avuto i miei stessi problemi, e non ho avuto nessun dubbio che fossi celiaca. Invece non è stato così. Fortunatamente nulla di grave”.
Lo abbiamo raccontato perché la storia è a lieto fine ma il percorso è alquanto emblematico e mostra tutte le debolezze e le pericolosità di un sistema.
Abbiamo chiesto al dott. Andrea Fantini, medico psichiatra, cosa spinge all’autodiagnosi e come si costruisce il rapporto con un paziente che pensa già di saper tutto sul suo stato di salute.
Curarsi attraverso internet. Il cercare on line – più o meno ossessivamente – sintomi sui propri mali. Dott. Fantini, ci possiamo cadere tutti?
“Si è un rischio nel quale tutti possiamo cadere. Sta prendendo piede e riguarda non solo il fare ricerche. Il discrimine, infatti, si gioca anche sulla qualità delle informazioni. Infatti su internet si possono trovare anche informazioni poco attendibili, che arrivano da fonti non accreditate. Si possono correre dei seri rischi”.
Le sono capitati casi di questo tipo. Di persone che venivano da lei con la convinzione di una diagnosi?
“Si. Può capitare che i pazienti arrivino già con la diagnosi, o comunque dopo aver raccolto informazioni sui loro casi. Non è sempre facile affrontare l’idea che si sono fatti. Molte volte cercano delle conferme delle loro idee piuttosto che informazioni corrette”.
Nel prossimo numero de il Ponte affronteremo il passo successivo. Cosa capita se oltre alla diagnosi, su internet si può ricorrere anche alla cura e all’acquisto di medicine?
Angela De Rubeis