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Un Dio che ha sete dei suoi figli

Lunedì 24 marzo abbiamo vissuto la terza tappa dell’itinerario delle Meditazioni Quaresimali proposto dalla nostra Diocesi, che ci ha invitato a riflettere sul rapporto tra Eucaristia e carità.
Una meditazione, introdotta da Isabella Mancino della Caritas diocesana, che nasce da un presupposto fondamentale: se l’Eucaristia ci fa fratelli non possiamo ignorare il grido di dolore di chi ci sta accanto e dei fratelli che vivono situazioni di maggiore difficoltà. Ed è una felice coincidenza, ha aggiunto ancora la moderatrice, realizzare questi incontri nel contesto della Chiesa di Sant’Agostino che accoglie le spoglie del Beato Alberto Marvelli: vero innamorato dell’Eucaristia e desideroso di trasmettere questo amore anche agli altri.

Il titolo scelto per la meditazione richiama molto bene questi temi: “Vivere nelle “periferie esistenziali”. La carne di Cristo e lo scandalo della carità”, una riflessione che è stata affidata ad un sacerdote bolognese, don Giovanni Nicolini, che della carità ha fatto davvero elemento centrale della sua vita e del suo ministero: a partire dall’impegno nel carcere cittadino della Dozza, per poi passare all’impegno nella Caritas e infine fondando l’associazione “Famiglie della Visitazione”, realtà ispirata all’esperienza di Giuseppe Dossetti.
Nella sua riflessione don Giovanni Nicolini ci ha accompagnato in maniera intensa in una rilettura della Parabola del Figliol Prodigo, testo che tutti probabilmente crediamo di conoscere bene, ma che in realtà abbiamo riscoperto e sicuramente compreso meglio grazie alle parole del relatore della serata.

Nella Parabola del Figliol Prodigo centrale è il tema della Casa, a cui il Figlio decide di tornare. Che cosa rappresenta quella Casa?
“Possiamo dire che la casa nella parabola del Figliol Prodigo è veramente la casa dell’Eucaristia. Una casa che lo Spirito visita incessantemente. Una casa strana, perché non ha sbarre o catenacci ma che ci espone invece al rischio della nostra libertà, come è avvenuto al figlio della Parabola e come avviene nell’esperienza di vita di ciascuno di noi. Il Figliol Prodigo è il primo protagonista di questo testo evangelico”.

E chi è invece il secondo protagonista della Parabola?
“Naturalmente il Padre, che non aveva mai smesso di aspettare quel figlio e lo vede quando è ancora lontano. Un rabbino tempo fa scrisse un libro con un titolo che mi colpì tantissimo: “Dio alla ricerca dell’uomo”. È un titolo che ribalta la prospettiva a cui siamo di solito abituati cioè quella dell’uomo che cerca Dio. In realtà la nostra religione è l’unica a capovolgere completamente questa idea: è Dio che scende sulla terra, è Lui che viene a cercarci, noi non dobbiamo conquistarlo o meritarlo ma solo accorgerci di Lui e del suo dono. In quest’ottica Gesù è l’ultimo passo dell’accondiscendenza di Dio, che arriva a farsi uno di noi. È un’immagine straordinaria. In fondo anche Maria non ha fatto altro che aprire all’Angelo che bussava alla sua porta, non è stata lei a cercarlo. Dio ci trova così come siamo e ci ama così come siamo. Essere capaci di accogliere il Signore che bussa alla nostra vita significa accogliere la salvezza”.

Nella sua meditazione ha fatto riferimento a questo proposito anche a un’altra nota Parabola, quella della pecora smarrita…
“Possiamo dire che la pecora smarrita è l’altra faccia della medaglia di questa ricerca dell’uomo da parte di Dio, una ricerca incessante, perché l’amore di Dio è veramente potente e, oserei dire, prepotente. Mi fa sempre sorridere infatti pensare all’idea del pastore che si mette in groppa la pecora quando la ritrova e la porta casa ma non sappiamo cosa pensa quella pecora, se era davvero contenta di tornare a casa oppure no. Dio ci vuole un bene “da morire”, nel senso letterario del termine visto che è davvero morto in croce per noi, ma il nostro rapporto con Lui a volte è difficile, tumultuoso”.

Infine il terzo protagonista della Parabola del Figliol Prodigo: l’altro figlio. Che cosa ci dice di questa figura?
“Mi colpisce sempre il dialogo tra l’altro figlio e il Padre perché il figlio parla di servizio, ma non fa alcun riferimento all’idea di figliolanza e paternità. È un dialogo che mette in luce un tema davvero centrale nella riflessione, molto difficile, che sta avvenendo all’interno della nostra Chiesa anche oggi: il rapporto tra giustizia e misericordia. A volte, infatti, è più facile accettare il rigore della giustizia che la misericordia divina… Ricevere la misericordia di Dio richiama tutti noi alla stessa responsabilità, alla necessità di essere a nostra volta misericordiosi. Anche Papa Francesco recentemente ce lo ha ricordato: se Dio è misericordia, anche la giustizia è misericordia. Se siamo davvero capaci di misericordia agiamo come Dio…se invece ci ergiamo a giudici diviene impossibile per noi anche praticare la giustizia.
La Parabola lascia un finale sospeso: non sappiamo se il figlio rientra in casa oppure no. È come se la domanda fosse rivolta a noi: vogliamo entrare in quella casa, che è la casa del Padre?”

Ha concluso il suo intervento mostrandoci un’icona che rappresenta il Figliol Prodigo che torna tra le braccia del Padre. Quali altri elementi richiama questa icona?
“Nell’icona c’è un particolare molto interessante: il Figlio che torna tra le braccia del Padre ha infatti le stigmate della croce. È l’immagine di Gesù stesso che torna tra le braccia del Padre. Il Figlio può tornare a casa perché qualcuno è andato a prenderlo fino alle profondità della sofferenza e del peccato. Non ha avuto paura di sporcarsi le mani, di incontrare il dolore. Quando celebro l’Eucaristia ultimamente mi colpisce soprattutto una parola: tutti. Quando diciamo infatti: “Prendete e mangiatene tutti…prendete e bevetene tutti…” stiamo dicendo qualcosa di fondamentale per la nostra fede. Quando dico la parola tutti penso sempre a quei fratelli che non mangeranno quel pane e non berranno da quel calice. Penso all’immagine della Samaritana, che abbiamo letto nel Vangelo la scorsa domenica. Anche in questo caso è Dio che ha sete dei suoi figli! Una sete immensa, inesauribile…perché vuole davvero portarli, tutti, a casa”.

Silvia Sanchini