Dopo la caduta del muro, la fine di tante ideologie, oggi che gli scambi con i Paesi dell’ex blocco sovietico sono di casa, credevamo davvero che la crisi balcanica potesse essere l’ultima fra quelle che portavano il rumore delle armi, morte e odio all’interno del continente europeo. Invece nubi di guerra si addensano ancora una volta a poche ore di viaggio dalle nostre case. Nei giorni scorsi, il primo venerdì del mese, ho portato la comunione a molti anziani delle mie parrocchie. Presso di loro ho incontrato ucraine con familiari a Sebastopoli e altre di origine russa della zona di Crimea. Tutte in ansia e col cuore in gola. Una russa ha inveito contro Obama: “Ma che se ne stia a casa sua! Perché non dovremmo votare per il referendum?”. Di fronte alla sua rabbia, mista a sincera sofferenza, avrei potuto ribattere che un voto con l’esercito russo ai seggi non era proprio il massimo della democrazia… Mi sono invece venute alla memoria le parole di madre Houda Fadoul, siriana, che guida la comunità monastica di Deir Mar Musa dopo l’espulsione dalla Siria del fondatore, il gesuita Paolo Dall’Oglio, poi rapito nel nord del Paese: “Scopriamo in questi difficili tempi l’efficacia della preghiera come unica maniera per uscire dai nostri sentimenti negativi, dalla paura e dall’angoscia per quanto riguarda la nostra esistenza e il nostro futuro”. Le ho così detto che avremmo potuto pregare insieme per la pace. Cosa che abbiamo subito fatto in quella casa, come nelle altre case. E allo stesso modo il vescovo Francesco, dopo aver pregato con gli ucraini nella chiesa della Madonna della Scala, ha invitato tutte le parrocchie a pregare per la pace in ogni celebrazione eucaristica domenicale, cosa che pure ha fatto Comunione e Liberazione venerdì a Sant’Agostino. È ciò che la Chiesa può fare, da subito, e che, spinta dall’esempio e dalle parole di papa Francesco, ha fatto anche, con forza ed efficacia, in occasione del punto più alto della crisi in Siria, quando sembrava ormai certo il coinvolgimento delle grandi potenze nel conflitto. Certo, la preghiera non fa notizia, non finisce sulle prime pagine dei giornali. Magari viene anche guardata con sufficienza dai potenti della terra, dai grandi esperti di geopolitica, dai più prestigiosi commentatori. Non saranno i loro sorrisini ironici a scoraggiare la Chiesa e farle rinunciare a stare con amore nella storia e a bussare alla porta della coscienza dei potenti. E questa è anche l’eredità di Giovanni Paolo II, il Papa del crollo del muro di Berlino, che definiva la preghiera come l’unica azione dell’uomo a cui Dio assicura piena efficacia.
Una preghiera che suscita e accompagna attese e impegni di pace e di giustizia.
Giovanni Tonelli