“La Quaresima non è un pedaggio che noi paghiamo a Dio, ma un regalo che Dio fa a noi”. Con questa parole il vescovo Francesco ha introdotto il suo Messaggio sulla Quaresima nella Messa celebrata in Basilica Cattedrale mercoledì 5 marzo in occasione della liturgia delle Ceneri. “Dio Padre ci convoca nella sua Chiesa e ci invita a seguire Gesù nel deserto. Se avesse ceduto alle seduzioni del grande Tentatore, Gesù non sarebbe andato a finire sulla croce: sarebbe morto di vecchiaia e noi saremmo morti senza speranza. Ma Gesù ha vinto la tentazione soprattutto con due armi: il digiuno (“Non mangiò nulla in quei giorni”) e il ricorso alla parola di Dio (“Sta scritto”). Il digiuno quaresimale non è tanto il digiuno corporale (l’astinenza dal cibo), quanto quello spirituale: digiunare dal mondo, ossia dalla mentalità individualista e consumista della nostra società “sciapa e infelice” (Censis 2013). Ma è soprattutto digiunare da se stessi, dal proprio io: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso” (Lc 9,23). Ecco il vero digiuno ed ecco la vera dieta quaresimale: rinnegare il proprio io – l’io dell’uomo vecchio, egoista e peccatore – per “nutrirsi di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
E proprio sul tema della Parola di Dio si è sviluppata la sua omelia.
“Il nostro Dio non ha bocca e lingua come noi, eppure parla e ci interpella, comunica e si rivela. Siamo noi che, pur avendo orecchi sempre aperti, pur disponendo di sofisticati apparecchi auricolari e di potenti antenne paraboliche, non ci poniamo in ascolto della sua voce. Una voce lieve come il fruscio di una soffice brezza, e forte come lo scoppio di un irresistibile uragano”.
Ha poi citato la parabola del Seminatore. “È la vicenda del seme: se cade su un cuore indurito, non attecchisce; se attecchisce, per colpa dei sassi non cresce; se cresce, è soffocato dai rovi; ma se trova un terreno umile e fertile come il cuore di Maria di Nazaret, matura e porta frutto. Sono dunque quattro le possibilità della Parola, segnalate dalla parabola del Seminatore, e che sinteticamente possiamo siglare con altrettante espressioni qualificative: la Parola rubata; la Parola perseguitata; la Parola soffocata; la Parola abbracciata”.
IL TESTO INTEGRALE DELL’OMELIA
Digiunare con il pane della Parola
Messaggio del Vescovo per la Quaresima
– Rimini, Basilica Cattedrale, 5 marzo 2014 –
La Quaresima non è un pedaggio che noi paghiamo a Dio, ma un regalo che Dio fa a noi. E che regalo! Dio Padre ci convoca nella sua Chiesa e ci invita a seguire Gesù nel deserto. Se avesse ceduto alle seduzioni del grande Tentatore, Gesù non sarebbe andato a finire sulla croce: sarebbe morto di vecchiaia e noi saremmo morti senza speranza. Ma Gesù ha vinto la tentazione soprattutto con due armi: il digiuno (“Non mangiò nulla in quei giorni”) e il ricorso alla parola di Dio (“Sta scritto”). Il digiuno quaresimale – lo sappiamo bene – non è tanto il digiuno corporale (l’astinenza dal cibo), quanto quello spirituale: digiunare dal mondo, ossia dalla mentalità individualista e consumista della nostra società “sciapa e infelice” (Censis 2013). Ma è soprattutto digiunare da se stessi, dal proprio io: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso” (Lc 9,23). Ecco il vero digiuno ed ecco la vera dieta quaresimale: rinnegare il proprio io – l’io dell’uomo vecchio, egoista e peccatore – per nutrirsi di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. In questo anno dedicato nella nostra Diocesi alla parola di Dio, è proprio su questo fattore irrinunciabile del cammino quaresimale che vorrei attirare la vostra attenzione.
1. Il nostro Dio non è un presente… assente. Non è come gli idoli dei pagani, che rassomigliano tanto ai tabelloni della pubblicità: “hanno bocca e non parlano”. E’ vero: il nostro Dio non ha bocca e lingua come noi, eppure parla e ci interpella, comunica e si rivela. Siamo noi che, pur avendo orecchi sempre aperti, pur disponendo di sofisticati apparecchi auricolari e di potenti antenne paraboliche, non ci poniamo in ascolto della sua voce. Una voce lieve come il fruscio di una soffice brezza, e forte come lo scoppio di un irresistibile uragano.
Facciamoci ora aiutare da un’altra pagina del vangelo: la parabola del Seminatore, in cui il Maestro ci disegna l’avventura della Parola nel nostro cuore. E’ la vicenda del seme: se cade su un cuore indurito, non attecchisce; se attecchisce, per colpa dei sassi non cresce; se cresce, è soffocato dai rovi; ma se trova un terreno umile e fertile come il cuore di Maria di Nazaret, matura e porta frutto. Sono dunque quattro le possibilità della Parola, segnalate dalla parabola del Seminatore, e che sinteticamente possiamo siglare con altrettante espressioni qualificative: la Parola rubata; la Parola perseguitata; la Parola soffocata; la Parola abbracciata.
La prima situazione – simboleggiata nella strada – è quella della Parola rubata: quando il cuore diventa duro come la terra battuta, impermeabile come una via lastricata dal buon senso, dalle ideologie alla moda, dal “così fan tutti” e dai tanti luoghi comuni in circolo, allora piomba Satana, ci scippa il seme buono della Parola, e fa ostruzionismo alla sua potenziale fecondità. Fin dall’Eden delle origini, il Maligno è il tenebroso maestro del sospetto. Ci inocula il dubbio che Dio con la sua Parola voglia incastrarci, imponendoci il peso di leggi soffocanti e di doveri insostenibili. Ci seduce con astuzia maliarda e ci induce a pensare che quella di Dio è una Parola troppo alta per arrivare ad incarnarla nella nostra storia, meschina e melmosa. Il principe del mondo è il ladro matricolato della Parola: ce la sottrae anche facendoci semplicemente ritenere che, in fondo, l’abbiamo ascoltata tante volte, ma non è cambiato niente. Del resto, abbiamo già troppe cose a cui badare, troppa fame di pane da spegnere, troppe preoccupazioni e affanni da sostenere.
2. La seconda situazione – raffigurata nel terreno sassoso – indica la Parola perseguitata. Dopo un primo ascolto entusiasta ma superficiale, al sopraggiungere dell’avversità o della persecuzione, la debole fiammella della fede comincia a tremolare e finisce per spegnersi del tutto. In effetti, se nell’ascoltare la Parola subito ci si accende, ma poi non si offre un terreno fertile al seme del Vangelo, inevitabilmente si inciampa nei sassi delle contrarietà e non si ha la forza di affrontare la fatica che le dure esigenze della sequela comportano.
Il terzo tipo di terreno – pieno di erbacce e di rovi – designa quella che si potrebbe chiamare la Parola soffocata. Ciò che qualifica questo terzo tipo di ascoltatori non è tanto la fragilità di carattere, l’entusiasmo e lo scoraggiamento facile, ma l’eccesso di interessi ingombranti e di corrispondenti preoccupazioni. Nel loro cuore e nella loro vita la Parola “soffoca”, perché non trova spazio e manca di aria. Le allettanti seduzioni mondane o le passioni esorbitanti – il proprio comodo, il proprio successo, la propria immagine – si insinuano in questi credenti con subdola prepotenza e inducono al compromesso: salvare capra e cavoli, conciliare le esigenze della conversione con gli idoli del proprio avere, apparire, potere.
Infine, ecco il quarto tipo di ascoltatori, quelli che potremmo racchiudere nell’immagine della Parola abbracciata. Il verbo greco che indica l’accoglienza della Parola non è quello usato per i terreni precedenti, un verbo comune, un po’ scialbo (lambanein, prendere, ricevere), ma paradechomai, accogliere con stupore e tenerezza: ospitare con amicizia, a cuore aperto, abbracciare senza condizioni e senza riserve, come lo sposo abbraccia la sposa. Sono i credenti che ascoltano, accolgono e portano frutto. Come Maria, la perfetta credente, che ha accolto il Figlio di Dio, la Parola in persona: ha offerto il grembo in cui “si raccese l’amore” e il Verbo vi si è fatto carne.
Preghiamo: “Padre misericordioso, il tuo Figlio si è fatto parola ispirata nelle sante Scritture e parola incarnata nel grembo di Maria. Tu hai bisogno degli uomini per rivelarti, e resti muto senza la nostra voce. Donaci il tuo Spirito perché ci renda docili ascoltatori della tua Parola, gioiosi annunciatori e testimoni credibili del Vangelo che salva”.
Che Maria, l’umile serva della Parola, ci tenga buona compagnia nel cammino verso la Pasqua.
+ Francesco Lambiasi