Sempre più donne, sempre più 40enni abbandonano la chiesa per percorrere altre strade. Perché? È la domanda che ha spinto don Armando Matteo, docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana, a realizzare uno studio approfondito. Studio che ha presentato durante la rassegna Colazione con gli autori che si tiene nella biblioteca diocesana di Rimini. «La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa» (Ed. Rubettino 2013), questo il titolo dello studio, successivo ad alcuni saggi di grande impatto come «La prima generazione incredula» o «L’adulto che ci manca» anch’esso di recente pubblicazione.
Questa volta don Armando prova a spiegare come e perché si è formata questa enorme frattura tra le donne, soprattutto quelle dai 18 ai 44 anni, e la comunità ecclesiale. Fornisce possibili spiegazioni, ma anche possibili soluzioni per rimarginare questa ferita.
Don Armando, perché le quarantenni e non le donne in generale?
“Tutta l’analisi nasce dalla mia personale esperienza. Qualche anno fa stavo trattando, in giro per l’Italia, il difficile tema della trasmissione della fede e del ruolo della cresima nella vita di un ragazzo. L’argomento era davvero delicato ed ovviamente era rivolto agli educatori dei giovani prossimi alla consacrazione, ma con mio grande stupore mi ritrovai più di una volta ad essere ascoltato da un pubblico di nonne. Dove sono le mamme di oggi? Cosi la domanda è uscita prepotente ed è infatti la frase d’apertura dell’intero libro: <+cors>dove sono finite le mie coetanee?”.
E il suo interrogativo ha trovato conferme?
“Ho iniziato a fare delle ricerche ed effettivamente i dati ufficiali che ho trovato, mettono in luce una rilevante mancanza delle donne nella comunità ecclesiale. Alcune di queste fonti, che ho citato nel libro, sottolineano come l’85% delle collaboratrici donne all’interno di ambiti religiosi siano nate prima del 1970. <+cors>Geografia dell’indagine cattolica<+testo_band> scrive che la fascia d’età maggiore che non frequenta più la chiesa va dai 18 ai 44 anni. Le donne in questo intervallo d’età vanno sempre meno a messa, scelgono di meno il matrimonio religioso e pochissime seguono ancora una vocazione religiosa, basti pensare che le suore sono diminuite del 34% negli ultimi 50 anni. Tutte le fonti da cui ho attinto, quindi, sono concordi nel sostenere che sta avvenendo un enorme cambiamento nel rapporto donna-chiesa”.
Questo fatto che conseguenze può avere?
“Da secoli il pilone fondamentale per la trasmissione della fede cattolica è la donna: partendo dallo svezzamento del bambino fino alla sua crescita. Se questo ruolo così importante viene a mancare, il divario che separa le nuove generazioni dalla chiesa, diventerà a poco a poco incolmabile”.
Ma perché, secondo lei, è avvenuta questa frattura?
<+testo_band>preti e i vescovi sono rimasti immobili di fronte al cambiamento sociale in atto negli ultimi anni, restando incollati all’idea che la donna sia bambini, casa e chiesa. Eppure per fare un esempio noi in Italia abbiamo un primato mondiale, cioè il 60% dei laurati è donna. Un’altra motivazione non poco rilevante è che negli ultimi anni la chiesa ha pensato bene di allearsi con la politica, facendosi amici i politici, ma ritrovandosi i nemici della politica come suoi nemici, cioè i giovani e le donne. La chiesa ha voluto accettare la sfida della scienza, utilizzando una concettualità astratta, affrontando i temi della vita concreta con termini scientifici e tecnici. Infine forse il più grande ostacolo è l’assenza delle suore, che erano la forza della comunità ecclesiale poiché erano presenti negli asili, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri. Le suore erano un riscontro visibile della presenza delle donne nell’immaginario pubblico della chiesa”.
Intravede possibili soluzioni?
“Ne dico alcune. Dobbiamo aprire gli occhi, prendere coscienza della mancanza della donna all’interno della chiesa. Eliminare il suo linguaggio autoreferenziale, lontano dal mondo concreto. In Italia non c’è una politica per le donne. Ci vorrebbe una maggiore attenzione al discorso biblico e alla preghiera. La grande bussola della libertà è la Bibbia, ma purtroppo noi ci siamo convinti che ci vuole un’intera vita per capire la Bibbia, mentre in realtà è esattamente il contrario. Ci vuole la Bibbia per capire la vita”.
Come innescare all’interno della chiesa una presa di coscienza di questo nodo cruciale?
“Quando si tratta di cambiamento, la chiesa ha sempre molta paura. Il mio consiglio è quello di ripartire dalle periferie, dai luoghi marginali e riportare gradualmente queste persone verso le comunità, verso le parrocchie”.
Le parrocchie sono ancora luoghi di incontro e di richiamo?
“Le parrocchie sono diventati luoghi di tortura. Mi spiego meglio, i laici che si mettono a disposizione della comunità vengono letteralmente stritolati dagli impegni. Questo perché l’intero sistema parrocchiale non è stato snellito o alleggerito. Perciò aiutare in parrocchia è diventato un vero e proprio lavoro a tempo pieno. Inoltre cito due consigli che il pensatore Charles Tylor ne «L’età secolare» rivolge ai cattolici: prima di tutto non parlate di sesso per i prossimi 10 anni. Siamo nel bel mezzo di un cambiamento troppo grande, dove al centro non c’è più l’anima, ma il corpo. E ci vuole tempo per poterlo rivoluzionare. Seconda cosa, è necessario trasformare le comunità in luoghi di festa, per ritrovare il carattere originario della religione. Le comunità, le parrocchie sono spesso caratterizzate dalla depressione e questo non fa altro che allontanare più che mai l’esplosione di vita che caratterizza una donna tra i 18 e i 44 anni”.
Ambra Sartini