La nonna mi raccontava che al momento della cena, il suo babbo si metteva in piedi dietro la sedia, a capotavola, aspettando che la mensa fosse pronta e che arrivassero tutti i figli. Quando la mamma portava la pietanza calda sulla tavola apparecchiata e tutti i figli avevano preso il loro posto con le mani lavate, allora la mamma dava il segnale che tutto era pronto e che si poteva iniziare la preghiera, dicendo semplicemente: «Oremus!» (=preghiamo). Allora il babbo iniziava la breve preghiera di ringraziamento per il pasto.
Quell’Oremus domestico, ancora presente in alcune famiglie religiose, è analogo all’invito alla preghiera che il sacerdote pronuncia al termine della Preparazione dei doni: Pregate fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre Onnipotente.
Con esso, infatti, «il sacerdote invita i fedeli a unirsi a lui nella preghiera», che pronuncerà a breve, detta Orazione sulle offerte, che conclude tutti i riti offertoriali e con la quale – come diremo – tutta l’assemblea offre a Dio i doni, perché li trasformi in sacramento di salvezza (Ordo Generale Messale Romano, 77).
Un invito che la liturgia chiede di essere fatto in modo caloroso, che raggiunga idealmente tutti, poiché chiede al celebrante di pronunciarlo allargando le braccia e poi di congiungere le mani, quasi a voler raccogliere la preghiera di tutti (OGMR 146).
L’Oremus (o Orate fratres) è un invito alla preghiera molto antico, in passato cantato dal diacono; alle prime note i fedeli si alzavano in piedi o si mettevano in ginocchio. Non prevedeva risposta, ma solo il gesto di disporsi anche con il corpo a pregare sotto la guida del sacerdote, come dovrebbe accadere ancor oggi: al «Pregate fratelli…», o subito dopo, noi fedeli dovremmo infatti alzarci in piedi! (OGMR 43; Principi e Norme Messale Romano, Precisazioni Cei, 1).
Durante la Messa il celebrante rivolge quest’invito ai fedeli per ben tre volte e tutte al termine delle parti della Messa: al termine dei Riti iniziali, prima della Colletta (v. Catechesi n. 24); al termine della Presentazione dei doni – di cui stiamo trattando; dopo la Comunione, prima dell’Orazione dopo la Comunione.
Ciò che salta subito all’occhio è che a conclusione della Preparazione dei doni, il sacerdote non si limita a dire «Preghiamo», ma utilizza una formula ben più lunga (Pregate fratelli… e il Messale prevede ben 4 diverse formulazioni!), a cui i fedeli sono addirittura chiamati a rispondere! (Il Signore riceva dalla tue mani…).
Da dove viene questo invito?
La formula d’invito e la relativa risposta appaiono per la prima volta nel IX secolo (Sacramentario di Amiens) e, successivamente, sono accolte dall’antico Messale di Pio V e, non senza difficoltà, anche dal Concilio Vaticano II. Lungo la storia si sono avute diverse formulazioni. Prima del IX secolo. l’invito era rivolto solo ai sacerdoti (i fratelli) e non prevedeva alcuna risposta; solo più tardi fu esteso a tutto il popolo (sorelle comprese!).
Il motivo per cui ancor oggi l’invito si rivolge generalmente ai «fratelli» è forse da rintracciare nel vocabolario paolino, che chiama indistintamente “fratelli” coloro che condividono la fede in Cristo; la prassi attuale di rivolgersi anche alle “sorelle” sembra più vicina non solo al vocabolario e alla sensibilità contemporanea, ma anche a quella di Gesù: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? […] Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,33.35).
Si deve ammettere che la scelta di mantenere una formula così lunga da parte dei padri conciliari preposti alla riforma liturgica, fu veramente – permettetemi – gagliarda!
Perché?
Perché mostra che la celebrazione dell’Eucaristia è azione di tutta la Chiesa, sacerdoti e fedeli (OGMR 5). Quando infatti il celebrante pronuncia «Pregate fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito…» sta dicendo che quel sacrificio è offerto da tutti, ma in modo diverso (il mio e il vostro): il sacerdote offre Cristo agendo nella sua Persona e offre se stesso; i fedeli offrono Cristo «non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui» e offrono se stessi (OGMR 95; Sacrosanctum Concilium 48; Lumen Gentium 10b). Ciò significa che i fedeli partecipano all’offerta di Cristo che compie il sacerdote, anche se non la possono compiere da se stessi (perché nessuno può offrire Cristo se non Cristo stesso, nella cui Persona il sacerdote agisce!).
Occorre allora essere cauti ad utilizzare il termine “concelebrazione”, perché propriamente solo i sacerdoti concelebrano; i fedeli partecipano all’offerta di Cristo, che si compie solo grazie al sacerdozio ordinato.
Tutto questo è ben espresso dalla risposta degli stessi fedeli: «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio…» (dalle tue mani!).
Una risposta che chiama i fedeli a partecipare attivamente all’Eucaristia e ad esprimerne anche la finalità: «a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa».
Questo dialogo tra celebrante e fedeli costituisce la conclusione della Preparazione dei doni, ma anche il suo vertice, perché manifesta la massima unità tra la Chiesa-Sposa (fedeli e presbiteri) e Cristo-Sposo, che reciprocamente si donano l’uno all’altro.
La provocazione di oggi è molto semplice: se non abbiamo ancora imparato bene l’intera risposta, pazienza(!); almeno alziamoci in piedi all’invito del sacerdote!
Elisabetta Casadei