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Quando lavoro fa rima con solidarietà

La storia di Segundo può somigliare a quella di tanti altri lavoratori che, con una grave disabilità, spesso non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, rischiando di rimanere emarginati ed isolati in una società che non sempre riesce ad accoglierli. È una storia complicata ma dal lieto fine, una storia come se ne sentono tante nel mondo della cooperazione sociale riminese. In una società con una grave crisi economica come l’attuale, in cui già solo trovare un lavoro è un vero miracolo, c’è chi si adopera e spende i propri giorni non solo per provare a dare lavoro ma anche per dare dignità. Questo è ciò che accade nella laboriosa rete di solidarietà della Cooperativa Sociale La Formica, inserita in un sistema consolidato di aziende sociali, che non hanno il lucro nei propri obiettivi principali, ma solo il lavoro per i più deboli. La parola a Segundo Veles Solis.

Da quanto sei in Italia e come hai incontrato La Formica?
“Vengo da San Vincente, un paese della costa nord dell’Ecuador. Sono in Italia, e a Rimini, dal 1998. Nel novembre del 2003 sono venuto in contatto con la Cooperativa tramite la Ausl di Rimini, grazie alla mia assistente sociale di allora ed al Responsabile degli inserimenti lavorativi de La Formica. Ho fatto la domanda di lavoro e ho iniziato un percorso di inserimento lavorativo. In questi 10 anni ho ricoperto diverse mansioni, lavorando nei settori più importanti della cooperativa: ho imparato tantissime cose mettendo a disposizione tutte le mie capacità. Il mio percorso lavorativo, e soprattutto il percorso della mia vita, è stato davvero molto particolare. Dall’età di 14 anni ho una protesi alla gamba sinistra dal ginocchio in giù; come si può immaginare, questo non ha facilitato né la mia vita e neanche il mio inserimento lavorativo. Per nessuno è facile trovare e mantenere un lavoro, nel mio caso è stato davvero difficile, ma la mia condizione non mi ha mai fermato o rallentato. Disabile, straniero, senza patente e senza conoscere un mestiere o una professione particolare, la cooperativa ha deciso di darmi una possibilità, un’occasione. Non dimenticherò mai il gesto d’aiuto che ho ricevuto. Ho fatto (e farò) di tutto per ripagare. Dopo tutti questi anni ho capito davvero quanto sia importante in una società la presenza ed il ruolo di una cooperativa sociale”.

Cosa ti è accaduto alla gamba? Ti va di raccontare l’incidente che ha cambiato drasticamente la tua vita?
“È accaduto una domenica di tanti anni fa in Ecuador. Avevo 14 anni. Mio fratello più grande faceva l’agricoltore, avevamo dei campi di mais e soia. Quella mattina mi portò con lui per dargli una mano. Mi sono avvicinato troppo alla macchina che falcia e raccoglie il mais. In un attimo di distrazione è cambiata la mia vita. Tre mesi di ospedale, l’operazione, due anni di sedia a rotelle… tutto ciò in un paese povero, dove è già difficile vivere con due gambe. Da lì, probabilmente, si è formato anche il mio carattere e la tenacia con cui ho affrontato tutto il resto. Sapevo che da quel momento sarebbe stato tutto più difficile. Vivevo in un paese del terzo mondo con grosse limitazioni strutturali e mediche, ma le principali difficoltà erano economiche: non potevo permettermi una protesi alla gamba. Fu solo grazie all’intervento di una Fondazione, con soldi che provenivano dall’estero, che riuscii ad avere la mia prima protesi in legno. Questa tragica esperienza mi ha reso più forte di prima, e ne avevo bisogno per affrontare il mio futuro”.

La tua esperienza di vita è molto forte, e con il tuo svantaggio hai incontrato molte difficoltà, ma nessuna di queste ti ha fermato.
“Si, è vero, ho incontrato tutte le difficoltà possibili; avere un handicap come il mio è un carico davvero troppo pesante, e se a tutto questo si aggiunge il fatto di essere straniero la vita diventa davvero molto complicata. Il mio handicap è stato solo uno svantaggio fisico; ho avuto la fortuna di essere forte psicologicamente perché ho fatto le cose che fanno tutti senza mai fermarmi. Mi sono proposto tanti obiettivi e per quanto mi è stato possibile penso di averli raggiunti. Ho studiato alla facoltà di Belle Arti nell’Università Centrale dell’Ecuador a Quito, la capitale, mi mancava solo la tesi di laurea. Ho realizzato numerose opere di pittura e c’è stato un periodo in cui ho esposto in alcune importanti gallerie d’arte del mio paese. Il mio percorso artistico mi ha portato fino in Germania e poi in Italia, dove mi sono fermato e ho lavorato tra Roma e Rimini. Un giorno mi piacerebbe realizzare il sogno che ho in mente da tanto tempo: allestire una mostra a Rimini di tutte le mie opere”.

L’incidente del 2004, tanta sofferenza, ma qualcosa stava cambiando.
“Lavoravo già per la Formica. Durante il servizio, attaccando i manifesti pubblicitari sono stato investito da un’auto che, oltre al resto, mi ha procurato anche seri danni alla protesi. Anche se era ancora quella rudimentale in legno che mi avevano messo in Ecuador, era pur sempre la protesi che mi aveva dato tutta l’autonomia di cui avevo bisogno. Si era rotta e non riuscivo più a camminare se non con le stampelle. Fu davvero un brutto momento, con un lunghissimo periodo di convalescenza, pensavo di dover ricominciare tutto da capo. Ma il lavoro alla Formica mi aspettava sempre, e io sapevo che quello era il mio riscatto”.

Alla fine poi non tutti i mali vengono per nuocere.
“Dopo alcuni mesi infatti, tramite l’INAIL e la continua assistenza dei dirigenti della cooperativa, sono stato ricoverato per oltre 45 giorni nel centro protesi di Budrio dove mi hanno praticato una nuova protesi in carbonio. Così, un po’ alla volta, ho lasciato le stampelle. Quando si cambia una protesi non è così immediato ricominciare a camminare, bisogna riabituarsi gradualmente, ma, dopo tanto allenamento, sono ritornato al mio lavoro, più forte di prima”.

Come e quando è avvenuto il ricongiungimento con la tua famiglia?
“Durante questo difficile momento che ho dovuto affrontare da solo e lontano da casa, sono stato aiutato tantissimo dalla cooperativa che anche in quell’occasione non mi ha mai abbandonato. La Formica mi ha aiutato a ricongiungermi con la mia famiglia che abitava ancora in Ecuador: mia moglie e mia figlia che non vedevo da 6 anni. Mi hanno aiutato a sistemare tutti i documenti per il nulla osta del ricongiungimento, e per questo devo ringraziare il presidente Pietro Borghini per tutto quello che ha fatto mettendomi in contatto con la Caritas e con l’avvocato. Quando sono arrivate in Italia è stata una gioia immensa: ho rivisto mia figlia che aveva 6 anni e che avevo lasciato all’eta di 5 mesi. È stato un momento che non dimenticherò mai: da lì ho ricominciato una nuova vita”.

Come sono cambiate in questi dieci anni le tue condizioni lavorative e le difficoltà legate al lavoro?
“All’inizio le difficoltà erano davvero tante. Anche il semplice spostamento in autobus per il lavoro era pesante: mi toccava stare in piedi per oltre 50 minuti ogni viaggio e in estate anche di più. Dopo la protesi definitiva mi sono iscritto a scuola guida e ho preso la patente e poi, con l’autonomia economica, anche un’auto speciale. Tutto ciò mi ha consentito maggiori comodità e indipendenza, oltre alle necessità della famiglia che intanto era cresciuta con la nascita di una seconda bambina. Da circa tre anni anche la cooperativa si è dotata, nel suo parco mezzi, di un’auto speciale che posso guidare pure io. È con quel mezzo che mi sposto durante il lavoro per i controlli sul territorio. Durante il lavoro non ho mai avuto nessun problema, mi sono sempre impegnato per non far mai pesare agli altri il mio handicap. Ho sempre trovato disponibilità e attenzione come in un ambiente familiare”.

Di cosa ti occupi attualmente e quando hai capito che la cooperativa potava darti anche più di un lavoro?
“Penso di aver capito bene, sin da subito, la funzione sociale della cooperativa: lavoro e solidarietà per i più deboli. Sono già diversi anni che sono anche socio perché mi piace pensare che anch’io posso dare ad altri le opportunità che ho ricevuto. I questi anni sono cresciuto tantissimo dal punto di vista professionale, tanto da avere varie responsabilità in diversi settori della cooperativa. Lavoro principalmente ai cambi turno per coordinare i lavoratori che rientrano e quelli che iniziano, nel settore della raccolta differenziata eseguo controlli sul territorio e seguo l’organizzazione del settore affissione tenendo i rapporti con l’ufficio referente del Comune, nel quale sono stato dislocato per diverso tempo e dove conosco tante brave persone. Ora il mio lavoro è molto vario, mi capita anche di svolgere mansioni d’ufficio sulla rendicontazione telematica di Hera o l’aggiornamento delle liste. Insomma sono molto contento di quello che faccio, delle responsabilità che mi hanno dato e della grande fiducia che mi sono guadagnato”.

Dopo tanti anni e tutte le esperienze vissute, come consideri il tuo inserimento lavorativo nella cooperativa?
“In generale ho fatto davvero un’esperienza positiva ovunque abbia lavorato. Un capitolo molto importante nella mia esperienza di lavoro è stato senza dubbio il lavoro alle affissioni pubblicitarie, espletato anche negli uffici del Comune di Rimini per conto della Formica. Un’esperienza molto positiva che porterò sempre con me. Anche in questo ambiente di lavoro non mi hanno mai fatto sentire uno straniero né un portatore di handicap. Questo dimostra che un essere umano può vivere in pace indipendentemente dal paese di origine o razza o religione. Ho sempre presente in me quello che diceva Mahatma Gandhi: «io e te siamo una sola cosa, non posso farti male senza ferirmi». Il mio inserimento lavorativo nella Formica è stata l’esperienza più bella vissuta in Italia. Al principio non pensavo che durasse tanto, era tutto nuovo per me e non sapevo come affrontare il lavoro con tutti i problemi legati al mio disagio. Voglio dire grazie a tutti perché al momento giusto mi avete dato una mano. Dopo tutti questi anni e dopo questa esperienza credo di aver capito bene come intendete il vostro compito di cooperativa sociale, compito che a volte non tutti riescono a vedere. Penso che la vita sia anche solidarietà, questo è il senso della cooperativa; solidarietà che bisogna avere sempre anche fuori dalla nostra realtà. Credo nell’essere umano, nella sua buona volontà, mi piace ascoltare il più saggio e rispettare gli altri, perché pretendo lo stesso per me; e per quelli che non hanno uno svantaggio io dico: il tutto è niente se non va insieme alla volontà di vivere come fratelli.

Emiliano Violante