Rifiutare i titoli a tutta pagina, evitare il sensazionalismo, chiedersi quale effetto un articolo può avere su un pubblico sensibile, non dipingere un atto eroico e non essere semplicistici sui motivi: sono le regole per un’informazione corretta sul tema dei suicidi riferite da Mariantonietta Milelli, psicologa del centro di prevenzione del suicidio dell’Università La Sapienza di Roma, nel corso del seminario per giornalisti ”La sostanza e gli accidenti” a Capodarco.
Sono circa quattromila i suicidi registrati mediamente in un anno, secondo fonti giudiziarie. Di questi, quasi la metà avviene in seguito a problemi di salute, la seconda causa è affettiva e solo la terza è economica. Eppure i media straripano di articoli sui suicidi “per crisi”, senza domandarsi quali effetti questo sensazionalismo possa avere sul pubblico, anche in termini di emulazione. “Esistono precisi elementi mediatici che possono favorire il suicidio – ha sottolineato l’esperta –: il rischio di contagio è maggiore se vi è un riferimento sensazionalistico, in prima pagina, se viene usato espressamente il termine ’suicidio’ nel titolo, se vengono utilizzate immagini della vittima e se questa viene fatta passare da eroe”. Ancora: è pericoloso se vengono forniti dettagli, se i motivi sono romanticizzati o resi semplicisticamente, come ad esempio dei brutti voti a scuola nel caso di un giovanissimo. “In generale, ci sono delle motivazioni attribuite al suicidio che sembrano suscitare più facilmente comportamenti identificativi, se la persona si riconosce con quello che legge – ha aggiunto -: malattie terminali, perdite finanziarie, lutto, problemi matrimoniali, isolamento sociale, depressione, difficoltà scolastiche<”.
Al contrario, l’informazione può avere un ruolo positivo, di prevenzione, se utilizzata in modo consapevole. “Diventa utile se informa sui servizi disponibili sul territorio, fornisce esempi favorevoli, presenta alternative al suicidio, indica la lista degli indicatori dei comportamenti suicidari” ha precisato Milelli.
Con l’occasione la psicologa ha anche smontato alcuni luoghi comuni sul suicidio: le persone a rischio non ne parlano, sono determinate a morire, sono malati mentali, appartengono a specifiche categorie… “Parlare di suicidio non è dannoso e non deve essere un tabù – ha concluso –, la prevenzione è possibile e deve passare attraverso una vera accoglienza della persona e del suo disagio”. <+nerocors>(gig-redattore sociale)