Si torna a parlare di integrazione scolastica in modo propositivo e dinamico: il Palacongressi di Rimini ha ospitato recentemente il 9° Convegno Internazionale della casa editrice Erickson dal titolo La qualità dell’integrazione scolastica e sociale. In quest’occasione si sono ritrovate a Rimini circa 3mila persone tra docenti, educatori, dirigenti scolastici, operatori socio-sanitari e psicologi. Tutti insieme per pensare a nuove strategie da portare in aula e a confrontarsi su come costruire una scuola capace di dare risposte alle esigenze educative di ognuno. La necessità di un rinnovamento aleggia tra gli insegnanti e richiede allo Stato investimenti finanziari non solo sulle strutture ma sulla preparazione e sulla capacità del corpo insegnanti che credono “che abbia ancora senso inconfutabile l’idea e la pratica che solo una scuola capace di accogliere tutti e di pensare al futuro per il loro ingresso nel mondo degli adulti abbia titolo a chiamarsi scuola” così come si legge nella mozione conclusiva indirizzata al Ministro per l’Istruzione Maria Chiara Carrozza.
Integrazione sociale: cosa succede dopo la scuola.
A proposito di ingresso nel mondo degli adulti, molto interessante l’intervento di Carlo Lepri (Università di Genova), psicologo e formatore con esperienza trentennale in tema di inserimento lavorativo di disabili adulti. Partendo dal presupposto che l’identità è il risultato di una serie di interazioni sociali, si capisce come non la si possa considerare un percorso privato ma una costruzione fluida e collettiva.
“Anni fa, Giorgio, un 20enne inserito da poco nella bottega di un calzolaio sostituiva la dicitura invalido civile sulla carta d’identità con artigiano: aveva sostituito uno status sociale con un ruolo in cui si rispecchiava positivamente. Compresi che il mio compito non era trovare lavoro, ma dei ruoli lavorativi all’interno dei quali inserire le persone”. Se la costruzione della propria identità è un processo collettivo che si compie attraverso ruoli sociali, allora l’integrazione sociale è necessaria, perché al di fuori di essa non esistono ruoli sociali positivi. Invece, come esistono centri di identificazione ed espulsione dove si riduce l’identità di una persona a immigrato clandestino, così accade spesso alle persone con disabilità.
Per ricoprire un ruolo, però, occorre una sufficiente preparazione emotiva e compito della scuola è accompagnare la persona in un percorso emotivo adeguato, infatti “le maggiori difficoltà di inserimento lavorativo dipendono da un’insufficienza emotiva e non da difficoltà di apprendimento”.
Tutti hanno bisogno di avere un ruolo sociale valorizzante ma questa possibilità si va riducendo.
“Da metà anni ‘90 il declino è netto e continuo. Il quadro è complicato: la scuola pubblica è ferita da continui attacchi, il sistema di servizi alla persona è smantellato e in balia di un pensiero calcolante, gli operatori pubblici paiono sopravvissuti, crescita esponenziale del terzo settore, crescente delusione delle famiglie verso il futuro al momento dell’uscita dalla scuola, crescita di associazioni di famiglie alla ricerca di soluzioni, aumento di depositi dove parcheggiate persone che avrebbero diritto a una vita integrata e autentica”.
E questa è una difficoltà che riguarda tutti: “l’integrazione non riguarda solo i disabili ma tutti. Le persone disabili ci stanno dicendo qualcosa sui deliri di onnipotenza di un sistema che cerca di garantirsi distruggendo, cambiare è il presupposto per avere tutti un futuro”.
Romina Balducci