L’operaio non mi vorrebbe neanche far girare. A fatica riesco a comunicargli che devo fermarmi solo a metà della via e non “sfondare” il posto di blocco creato dal suo camion autospurgo. Ci penserà un’altra ventina di automobilisti/e imbufaliti a fare capire agli operai che non si blocca una strada senza preavviso, seppur per lavori importanti, proprio nell’ora di punta. Più tardi, città diversa, trovo un parcheggio di bianco delimitato. Ma mentre sto per scendere esce dalla casa adiacente un signore in tuta da lavoro: “scusi, non è che potrebbe andare più avanti che devo mettermi qui per raccogliere le olive?”. Acconsento, anche se me ne sarei aspettata qualcuna in omaggio per la gentile concessione. Sono solo un paio dei tanti casi di vita vissuta tra strade bloccate da traslochi, interventi non segnalati o parcheggi sulla pubblica via ostaggio di sedie e cassette della frutta con le motivazioni più disparate (“Se mi sento male l’ambulanza dopo non trova posto”, per citarne una). Piccoli disagi, certo, se paragonati a quelli come la chiusura del ponte di via Coletti. Ma che, insieme alle situazioni eclatanti, contribuiscono all’esasperazione del povero automobilista. E allora, per avere la coscienza a posto quando ci lamentiamo delle complicazioni che gli enti pubblici impongono al traffico, prima non sarebbe forse il caso di liberarci della via Coletti che portiamo dentro di noi?