Torneo studentesco organizzato un po’ approssimativamente: l’arbitro non si presenta e allora a dirigere si presta gentilmente il custode del campo. A metà gara gli avversari, già in discreto vantaggio, segnano un gol che per noi è in fuorigioco. Si accende la discussione e nessuno vuole cedere. Finché il custode si stufa, prende il pallone e se ne va. Il lontano ricordo mi è sovvenuto lunedì vedendo la spiaggia allagata dalle mareggiate con l’acqua fino alle cabine (o gabine, come amano dire i riminesi). Proprio il giorno precedente era stato un susseguirsi di dichiarazioni sulla riaccesa polemica in merito al futuro delle concessioni demaniali, questione su cui è palese che le parti non si metteranno mai d’accordo. Ognuno forte delle sue ragioni: “La spiaggia è un bene comune, non si può privatizzare”, dicono gli uni. “Non si tratta di semplice sabbia, ma di un bene che ha acquisito valore per gli investimenti di chi lo ha gestito”, replicano gli altri. Forse correvo un po’ troppo con l’immaginazione ma mi sembrava che il mare avesse fatto proprio come quel custode. Stufo di sentir gente litigare ha ricordato a tutti che a decidere alla fine era lui. E se il mare decide di riprendersi la palla, o la sabbia che dir si voglia, ci ritroviamo tutti come i protagonisti di quella partita estemporanea: non rimangono che le docce.