Lo sguardo di chi sa osservare; la matita di chi sa strappare dalla materia marmorea la sintesi stilistica e il significato storico di un’opera d’arte. Si parla di questo e d’altro nella navata del Duomo di Rimini all’interno del ciclo di incontri “Il Tempio Malatestiano oltre l’Italia. Scritti forestieri fra Ottocento e Novecento”. La rassegna, organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, in collaborazione con Comune e Diocesi di Rimini che ospita l’evento, indaga il punto di vista di tutti quei viaggiatori e pensatori stranieri che negli ultimi secoli si sono avventurati nella terra di Sigismondo, elaborando individualmente un pensiero critico sull’architettura e sulle decorazioni di questo luogo sacro.
“Attraverso particolari sguardi forestieri l’edificio si rifrange, si moltiplica, dissemina i propri significati, mostra ciò che i visitatori scelgono di vedere”. È quanto afferma Paola Spinozzi, docente dell’Università degli Studi di Ferrara e curatrice dell’intera edizione (nella foto, con don Tognacci, il vicepresidente Fondazione Carim Leonardo Cagnoli, Alessandro Giovnardi e Massimo Pulini). La studiosa di origini riminesi ha voluto accompagnare la platea durante il primo incontro di venerdì 18 ottobre all’interno di un percorso diacronico che si allarga nel tempo, affondando fra le diverse aree culturali di quegli autori che hanno parlato del Tempio nei loro testi. “Formidabile catalizzatore di visioni, il Tempio Malatestiano offre testimonianze luminose di come una costruzione architettonica sia stata rivestita, ripensata, ricostruita per contenere, e accogliere, valutazioni estetiche e ideologiche scaturite nei secoli non solo in Italia ma anche in Europa e oltre”.
Inglesi e anglosassoni
L’approccio scientifico e obiettivo non ha fatto mancare quelle testimonianze laiche che arricchiscono la complessa natura del luogo. “J. A. Symonds, poeta inglese di fine Ottocento, è stato il primo ad enfatizzare le componenti neo-pagane del Tempio – prosegue Spinozzi -. Audacemente scrive: «Nulla ci ricorda di essere in un luogo sacro cristiano», facendo riferimento all’involucro architettonico di Alberti. Si tratta di una visione molte forte, ma lo scopo di questi incontri è portare l’attenzione su sguardi altri, estranei che, a seconda della nostra confessione religiosa, noi stessi reinterpretiamo e filtriamo”. Molti degli autori presentati, avendo un punto di vista anglosassone, protestante o da non credente, denotano come contraddittorio l’innesto stilistico ad opera di Leon Battista Alberti, come se facesse perdere la sacralità della precedente chiesa francescana. Negli anni Venti, Edward Hutton scrive: “Questo tempio elevato a Dio doveva essere anche il simbolo della vita di Sigismondo”. Nella metà del Quattrocento, infatti, Sigismondo Malatesta chiese all’architetto di chiara fama di trasformare l’edificio in un’opera simbolo della sua grandezza, rivelando uno spirito autocelebrativo ispirato all’antichità. Nell’involucro esterno di pietra d’Istria sono riconoscibili alcune citazioni romane: l’Arco d’Augusto nella facciata e il Ponte di Tiberio nei fianchi. Tutti elementi che hanno sollevato osservazioni critiche da parte dei visitatori forestieri, che hanno visto l’aspetto sacrale finire in secondo piano, schiacciato dall’orgoglio di un signore mecenate. Le stesse decorazioni interne furono oggetto di molte critiche, facendo riferimento alla convivenza di simboli differenti, quelli di natura religiosa con altri afferenti alla sfera della conoscenza, percepito come negazione del sacro. Gli elementi decorativi legati al mondo della natura e dell’intelletto hanno contribuito a fomentare tale posizione. Mentre la compresenza di più stili e di una natura artistica complessa ha suscitato un’osservazione interessante da parte del saggista statunitense Ezra Pound, che vedeva il Tempio come “un luogo polifonico, di risonanza e stratificazione”.
Tempio di pietre vive
La conferenza è stata introdotta da Don Giuseppe Tognacci, canonico della Cattedrale – ovvero colui che apre le porte alla città -, il quale ricorda che essa è contemporaneamente Tempio, monumento ed edificio. “Questa chiesa è edificata con pietre vive. È stato lo stesso spirito di Dio che le ha edificate. È nata come chiesa cattolica benedettina, francescana e dal 1809 Chiesa Cattedrale della Diocesi di Rimini: la chiesa episcopale. Nel 2002 ha ricevuto da parte della Santa Sede il titolo di Basilica minore, congiunta con quella di San Pietro”. Anche don Tognacci esprime la necessità di una “sana criticità storica” dell’edificio, possibile attraverso questi incontri, come già si è fatto in occasione di quelli organizzati in seguito agli ultimi restauri del Tempio.
Attenzione e ricostruzione
Un trascorso di pensieri. Alla rassegna ha collaborato pure è il professore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, nonché Assessore alla Cultura di Rimini, Massimo Pullini, secondo il quale il Tempio è il luogo di una sedimentazione di meditazioni, preghiere, sguardi e visite: “Nei secoli ci sono luoghi che hanno saputo trattenere la percezione di questi passaggi”. Stratificazioni storiche. Rimini, città archeologica per eccellenza è fatta di vari strati. “Camminiamo un metro e mezzo sopra la romanità – prosegue Pullini –. Uno spazio completamente vissuto, fatto di generazioni che si susseguono. Ci sono pietre che continuano ad essere scolpite dalle carezze dei devoti, evidenziando un trascorso di pensieri”, e il Tempio Malatestiano è uno di quei luoghi che trasmettono questa sensazione. I suoi pavimenti sono stati calpestati da Giotto, Piero della Francesca, Giorgio Vasari, Agostino di Duccio, Leon Battista Alberti… “Le sue opere d’arte sono elementi significanti, la cui esecuzione è impastata con le menti, attraverso la cura e le attenzioni dell’artista. Tutte le opere d’arte hanno qualcosa di simile: se non con le preghiere, sono mescolate con i pensieri”. Perno del suo intervento è l’importanza delle visite alla città da parte degli osservatori internazionali, senza i quali non si sarebbe posta la stessa attenzione nella ricostruzione post-bellica. “L’Italia rappresenta da sempre un itinerario di viaggiatori. Se non ci fossero stati studiosi ed appassionati del Tempio Malatestiano, come l’americano Bernard Berenson che si è occupato del suo restauro dopo i bombardamenti sulla città da parte dei suoi connazionali, non potremmo ancora godere della sua bellezza”.
Il Duomo fu massicciamente danneggiato dagli oltre 300 attacchi aerei tra il dicembre del ’43 e il giugno del ’44 che portarono alla distruzione del 90% del costruito urbano. La stessa sorte toccò al Teatro Galli, che ancora non ha trovato nuova vita, a differenza della cattedrale.
Pullini definisce il monumento come un “manifesto dell’incompiuto” che lascia intravedere la chiesa francescana sotto il cappotto architettonico di Alberti. “L’aver concepito un involucro, con una facciata che è l’iperbole dell’Arco d’Augusto, e la parte laterale che ricorda il ponte di Tiberio, è già un atto critico da viaggiatore che commenta attraverso l’opera”. L’architetto si trovò a Rimini all’apice della sua produzione teorica. “E qui elabora un’opera che è la summa delle proprie qualità artistiche e critiche”.
Lo sguardo “estraneo”
Introducendo una prospettiva dell’estraneità, i racconti degli autori internazionali presentati offrono alla storia dell’arte un tassello fondamentale per comprendere il passaggio fra tardo gotico e Rinascimento, e connotano un ciclo di incontri molto coraggioso e meticoloso. “Il senso è quello di utilizzare lo sguardo dell’estraneità – è la conclusione della Prof.ssa Spinozzi –, dell’alterità (uno sguardo fruttuoso e produttivo) che ci porta fuori da ciò che conosciamo e di cui abbiamo familiarità (noi stessi quando incrociamo il Tempio non lo «vediamo», non lo conosciamo). Uno sguardo che consente di uscire fuori, e di viaggiare come loro. Guardando il Tempio con questi sguardi alieni, così nuovi ed inaspettati, possiamo poi di farvi ritorno per rivedere un luogo che conosciamo, ora anche in modo diverso”.
Mirco Paganelli
Opera chiave del Rinascimento, il Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti è anche un catalizzatore di pensiero non solo in Italia ma anche in Europa e oltre oceano. L’edificio riminese, da oltre 200 anni anche Basilica Cattedrale, è un luminoso esempio di edificio architettonico che diventa anche “edificio concettuale” in grado nel tempo di generare altri “edifici concettuali”. Sulle numerose valutazioni estetiche ed ideologiche operate da intellettuali di tutto il mondo intorno alla Basilica, si fonda il ciclo di incontri “Il Tempio malatestiano oltre l’Italia. Scritti forestieri tra Ottocento e Novecento”, quattro appuntamenti per la prima volta ospitati proprio all’interno del Tempio riminese. Dopo i racconti di viaggio britannici e angloamericani, si passa ad analizzare eruditi come Burckhardt e il grande storico dell’arte ebreo tedesco Aby Warburg nel secondo incontro (8 novembre, ore 18) per poi affrontare le pagine russe sul malatestiano con il prof. Alessandro Giovanardi (15 novembre) e i viaggiatori francesi con Michela Gardini (Univ. Di Bergamo, 29 novembre). “Scritti Forestieri” sarà anche l’occasione per fare chiarezza su alcune interpretazioni controverse, come quelle di Péladan, lettore mistico del Tempio, e di Pletone, con una lettura di Franco Bacchelli (Univ. Bologna) che ne riduce drasticamente la portata esoterica.
Gli incontri si svolgono proprio all’interno del Tempio Malatestiano affinché le parole degli oratori possano amplificarsi grazie all’esperienza diretta e alle suggestioni visive.