“Voi siete santi, voi siete santi”. Si è presentato così all’uscio della famiglia riminese che lo ha ospitato, padre Giscard Kevin Dessinga, nato in Congo-Brazzaville nel 1977, primo frate di colore, nella breve storia della manifestazione, ad intervenire al Festival Francescano svoltosi recentemente a Rimini. Ad accoglierlo Cinzia, Riccardo e i loro bambini Matteo, di 10 anni, e Gabriele, di 2, residenti nel centro storico della città. Un incontro reso possibile proprio dalla disponibilità del primogenito, come racconta la coppia: “È girata una mail inviata alla nostra parrocchia, San Agostino, dalle Sorelle Clarisse di San Bernardino, che chiedevano disponibilità per accogliere in casa qualche ospite del Festival. Noi non avevamo un letto o una stanza in più, ma Matteo ci ha spiazzato, offrendosi di dormire sul divano per ospitarlo nella sua cameretta. Abbiamo colto al volo questa sua apertura scrivendo a padre Guido Ravaglia e qualche giorno dopo frate Kevin si è presentato bussando alla nostra porta”. È iniziata così una breve ma intensa convivenza, nello stupore di tanti: “Non siamo ‘santi’, come ci ha apostrofato Kevin entrando in casa, siamo una famiglia ‘in cammino’, come tante altre, ma abbiamo cercato di vivere questa esperienza con semplicità. Molti amici e conoscenti si sono sorpresi per la nostra ‘temerarietà’ nell’accogliere uno sconosciuto in casa. Per noi invece è stata la cosa più naturale del mondo, anzi. Padre Kevin ci ha portato uno spaccato di Africa in casa, ci ha raccontato la sua vita, le sue esperienze, ha ascoltato le nostre domande con pazienza; abbiamo condiviso momenti conviviali, ha giocato con i nostri bambini, ha ballato e cantato con loro, abbiamo pregato insieme, la sera, prima di coricarci. Tre giorni che sono volati”. Ogni sera, terminata la giornata trascorsa in piazza a promuovere il suo ultimo libro Cosa manca realmente all’Africa e ad incontrare fedeli e curiosi partecipanti al Festival, padre Kevin prima e dopo cena trascorreva tempo al telefono per sostenere, confortare, conoscenti e amici incontrati nella sua vita: “Sono stato per un mese a San Giovanni Rotondo, ricevevo tante chiamate; oggi mi sposto spesso fra Roma, Napoli, Padova, e Gatteo”. Allegro, dalla risata contagiosa e fragorosa, padre Kevin tra un anno, terminati gli studi, tornerà in patria: “Dell’Africa mi manca molto la liturgia: cantiamo e balliamo, c’è gioia e si coinvolgono anche tanti giovani. Qui in Europa invece è diverso e non c’è sempre grande apertura (da parte dei sacerdoti, specialmente) per chi porta qualche novità”. La Chiesa sarà cattolica, cioè universale? è una domanda che tormenta spesso padre Kevin: “A volte si pensa di essere sempre e comunque nel giusto, di aver già imparato tutto quello che c’era da imparare. Spero che lo spirito innovatore, nella linea del Vaticano II, possa prendere piede un giorno. In Italia ci sono tante chiese vuote, c’è una crisi generalizzata di vocazioni: è necessario partire su nuove basi, ricominciando dai giovani senza aver paura di accogliere i missionari, perché i nostri sono stati i primi ad andare in America, in Africa ed in Asia per annunciare Gesù”. Chiudere una Chiesa o un Convento quando c’è la possibilità di affidarli a dei missionari stranieri suonerebbe come una “eutanasia spirituale”.
Anche sull’Africa padre Kevin Giscard ha le idee chiare: “L’Africa non ha solo un doloroso e triste passato da raccontare e da ricordare, ma ha anche e soprattutto un futuro da costruire. Vogliamo l’aiuto che porti a non avere più bisogno di aiuti, desideriamo essere noi stessi e non quello che gli altri pensano di noi, decidono di noi e ci impongono. Non vogliamo più la carità, quella rumorosa e mediatica, perché il bene non fa rumore e il rumore non fa bene; piuttosto la libertà di essere e pensare”. Una sfida che può essere vinta ripartendo, fra le altre cose, dall’educazione dei più piccoli. Perché ignoranza e indigenza sono le armi più potenti per sottomettere un popolo.
Marzia Ripa