Sono dei veri e propri beati tra le donne i maestri italiani, accerchiati da un corpo docenti per il 97% rosa. E a Rimini sono ancora più beati perché alle scuole primarie, su un totale di 1.040 insegnanti di ruolo, le quote azzurre si fermano a 22 unità, il 2% del totale, cui si aggiungono 8 precari.
“Per me è il lavoro più bello del mondo”, è entusiasta Andrea Rinaldi, per tutti il Maestro Andrea, l’esemplare in via d’estinzione della scuola “A. Toti”. “Non dico mai «vado al lavoro», ma «vado a scuola». Tutti i giorni è un grande incontro per conoscere i bambini e offrirgli la strada della conoscenza”. Tutta la sua carriera è stata costellata da donne: prima le magistrali, poi la laurea in pedagogia ed infine l’insegnamento. “Le donne mi hanno sempre accolto con entusiasmo. Hanno consegnato alla mia persona spessore, facendomi sentire prestigioso”.
Come differiscono i maestri dalle maestre? “L’uomo ha la capacità del fare. Le donne sono più per il pensiero, che ha bisogno di essere tradotto nell’agire. Mi sono accorto di riuscire a dare questa risposta: tradurre idee produttive in operatività”.
Se da un lato si tratta di un mestiere tradizionalmente femminile – come se la maestra fosse un’estensione della figura materna – dall’altro “è richiesta una profonda pazienza che l’uomo spesso non ha: 20/25 bambini di fronte sono una missione. Inoltre non è un luogo per quelle ambizioni tipicamente virili, come il potere, la carriera e i soldi”. E sul suo successo rivela: “Non sono un manager, sono qui per apprendere e diventare grande, anche se ho 45 anni”. C’è molto da imparare dalle colleghe: “Il sapersi muovere delicatamente e l’avere fascino: anche questo è scuola. Sono riuscito ad acquisire la dote femminile della tenerezza e a coniugarla con la fermezza maschile, come suggeriva Don Milani”. Rinaldi ha esercitato in tutti i gradi scolastici, dall’asilo alle superiori, ma preferisce le primarie: “È la scuola che unisce crescita educativa e culturale. Dal latino ’educo’, tirar fuori, e ’instruo’, costruire. Qualcosa i bambini già lo custodiscono, e devi aiutarli a tirarlo fuori. Dando qualcosa di tuo”.
Cosa aspettarsi dalla scuola del domani? “L’educazione dovrebbe stare al primo posto di ogni notiziario. La scuola viene in genere citata come regolamento di conti economici e per i contratti sindacali, perdendo di vista il suo ruolo di luogo della crescita più importante che esista in una società. Inoltre in paesi come Norvegia e Finlandia gli insegnanti hanno un prestigio sociale maggiore, riconosciuto anche da un contributo economico adeguato”, altro motivo che scoraggia i padri di famiglia ad intraprendere questa carriera: mentre i colleghi nordeuropei superano abbondantemente i 2 mila euro mensili, in Italia, dopo anni di esperienza, ci si ferma attorno ai 1.500 euro. “Se andassi dal Ministro Carrozza le parlerei delle quote azzurre. Anche i maestri hanno qualcosa da dire e da fare”. Ma badate bene: “Non si può fare il maestro per caso, perché questo è un ’non lavoro’ che dà gioia di vivere”.
Pasquale Barbaritano è un precario che fa supplenze da 5 anni alla scuola primaria “L. Ferrari” in un quartiere estremamente multietnico. Dalle colleghe più anziane ha sempre accolto i molti consigli. “Ognuno di noi ha il suo metodo, indipendentemente dal sesso. La donna è di natura più portata, in quanto madre. Però anche l’uomo può contribuire: è più deciso, ma più giocoso. Sa essere autoritario, ma anche comprensivo”.
Nella stessa scuola insegna religione Tiziano Bianchini, secondo il quale “essere educatori è un privilegio. Non è un lavoro, ma una vocazione. Lo vedi nell’impegno e nella dedizione delle tante maestre”. E sull’essere uomo rivela: “Aiuta, perché il confronto con la parte maschile manca a scuola, e serve. Gli uomini sono molto coinvolti e riescono a dire la loro. Anche dalla parte dei bambini si nota un certo squilibro per la sola presenza femminile. Poi manca spesso il padre in famiglia per via del lavoro, una figura archetipica molto importante per la crescita. Quindi una figura simile a scuola può risultare attrattiva. Tante volte mi sento dire: questo ragazzo è difficile, ma magari con te…”.
Quale contributo? “L’uomo anche in famiglia è più rappresentativo della parte normativa, meno sentimentale e più ordinante. A scuola può servire a diffondere meglio la coscienza civica. Il maestro è un completamento che manca”. Ma riguardo a questo precisa: “Io non sono né per le quota rosa, né per quelle azzurre: mi auspico solo che sia data priorità all’aspetto educativo. E invece al sociale si fa molta poca attenzione”. Un modo per aumentare le presenze maschili sarebbe quello di portare il dibattito educativo ad un livello più alto: in tal caso “molte più persone sarebbero portate a spendersi per tramandare ai posteri”. Dopotutto la scuola italiana può attingere a un grande patrimonio: “Noi abbiamo esportato all’estero il modello montessoriano, come in Olanda, anche se non lo applichiamo in patria. La nostra capacità di fare integrazione, l’avere i disabili in classe e non in scuole diverse, il multiculturalismo che trova realizzazione in modo esemplare nelle aule… tutto questo l’Italia lo fa egregiamente, seppur con mezzi limitati”. E conclude: “Seppure molte volte ci si sente come dei Don Chisciotte contro i mulini a vento, sono orgoglioso di essere un insegnante italiano”.
Mirco Paganelli