Regista di grande talento ed eleganza, ha diretto dei tre suoi film più riusciti tra Rimini e Riccione. Tranne dai cineasti, è stato colpevolmente un po’ dimenticato. Ora il “riminese a metà” Adolfo Conti ha realizzato un omaggio a Valerio Zurlini dal titolo Gli anni delle Immagini Perdute, proprio come il testamento spirituale del regista bolognese uscito postumo.
Gli anni delle Immagini Perdute delinea il ritratto umano e artistico di Zurlini, scomparso il 26 ottobre 1982, poche settimane dopo aver partecipato come giurato al 50° Festival del Cinema di Venezia. Zurlini sapeva di essere malato e aveva dedicato gli ultimi mesi di vita alla scrittura del testamento. Un bilancio esistenziale spietato, il racconto di un mondo che cambia in modo irreversibile, un appello struggente in difesa del cinema d’autore. Nel libro come nel film, Zurlini si racconta in prima persona, ripercorrendo gli episodi più importanti della propria vita, indica le ragioni del suo cinema e gli artisti che l’hanno formato. E denuncia le “Immagini Perdute”, i tanti film cioè che egli scrisse e preparò senza riuscire a portarli a compimento. Tra il 1962 (anno del Leone d’Oro per Cronaca familiare) e il 1982 Zurlini gira solo quattro film, mentre decine sono i progetti che rimangono sulla carta. Gli anni delle Immagini Perdute torna nei luoghi in cui Zurlini amava ritirarsi a vivere, raccoglie le testimonianze di amici e collaboratori, ripropone il repertorio di interviste e conversazioni del regista, nel tentativo di capire le cause del forzato e fatale “silenzio produttivo”.
Il documentario, che non assume un atteggiamento distaccato o blandamente descrittivo, ma si immerge nell’universo dell’autore, annovera un cast eccezionale: da Carlo Lizzani a Giuliano Montaldo, Claudia Cardinale, Giorgio Albertazzi, solo per citarne alcuni.
Zurlini nel 1959 realizza Estate violenta, storia d’amore fuori dai cliché dell’epoca tra uno studente e una vedova ambientata a Riccione negli anni della seconda guerra mondiale. È del 1961 La ragazza con la valigia, con Claudia Cardinale nella veste di Aida Zepponi, giovane sedotta da Marcello, un dongiovanni conosciuto nella Perla che dopo essersi divertito e fatto false promesse, non sa come disfarsi di lei. A Rimini invece e fuori stagione si svolge La prima notte di quiete. Un legame forte e creativo, quello di Zurlini con la riviera, messo in luce pure nella pellicola di Conti. “Il documentario ha molteplici origini: – spiega l’autore – la passione da ragazzo per Buzzati e Il Deserto dei Tartari mi portano ai film di Zurlini. La mia origine per metà riminese mi ha fatto vivere la stessa città invernale e deserta de La prima notte di quiete.
E poi la lettura in anni più recenti di >Sinemà di Marco Weiss e de Gli anni delle immagini perdute di Zurlini mi hanno fatto appassionare non solo al regista, ma anche all’uomo, una personalità poliedrica e molto affascinante”.
Cosa rappresenta quel testamento? Conti non ha dubbi: “È un documento eccezionale, forse unico nel suo genere. Personalmente non avevo mai letto nulla di simile: un uomo che sa di essere al termine della vita, traccia un bilancio duro e lucido della propria esistenza. Con una sincerità e una umanità mai autocelebrative, ma tese solo a capire e raccontare se stesso senza infingimenti retorici. Partire da questo testo per il mio film è stata una scelta obbligata”. Proprio come quella di Zurlini di girare tre pellicole tra Rimini e Riccione. “Per lui la Riviera riminese – prosegue Conti – è stata prima un luogo di vacanza e di maturazione, poi di ritiro creativo. Tornava spesso a Riccione d’inverno dove aveva trascorso estati felici da ragazzo. Negli anni Settanta, Rimini e Riccione vivevano l’euforia estiva, d’inverno si svuotavano per diventare luoghi in cui il tempo sembrava sospeso. Zurlini amava stare qui proprio per questa atmosfera atemporale”.
Nicola Mangiacotti