L’handicap è una risorsa in teatro e nella vita. “Le ruote danzanti”, il gruppo presieduto da Marisa Bettassa e che fa parte dell’associazione “Volare alto”, sabato 31 agosto si esibirà alle ore 21 alla parrocchia della Grotta Rossa e il 1 settembre 2013 presso il campo di Don Pippo, a Covignano di Rimini. Le coreografie saranno danzate da ballerini in piedi o seduti. Uno spettacolo originale e dall’alto valore educativo. Si tratta di un percorso di integrazione fra persone in carrozzina e non, che insieme interagiscono nell’interpretazione delle note con movimenti, sguardi e molta complicità fra soggetti. Il ballerino in piedi in questo modo diventa tutt’uno con quello seduto in carrozzina.
“L’associazione Volare Alto – spiega la presidentessa Marisa Bettassa – è nata nel 1997 e vuole offrire un aiuto psicologico concreto alle famiglie che hanno in casa ragazzi disabili e normodotati. Si propone l’obiettivo di far diminuire il comportamento «iperprotettivo» di tanti genitori nei confronti dei figli portatori di handicap. Questo atteggiamento – incalza la Bettassa – non favorisce l’acquisizione delle benché minime autonomie da parte del portatore di handicap. Un ragazzo disabile superprotetto non potrà mai diventare autonomo per mancanza di stimoli, non essendo mentalmente preparato a combattere le difficoltà”.
L’associazione onlus “Volare Alto”, che nel frattempo è cresciuta come numero di partecipanti e come qualità d’intervento nel campo della disabilità, è composta da famiglie di portatori di handicap e da persone che vogliono semplicemente condividere le attività e gli scopi educativi dell’associazione. Uno degli obiettivi è quello di rendere più lieve l’angoscia del cosiddetto “dopo di noi”. “Questo è un problema molto serio – assicura Gian Carlo Ferrari – per questo abbiamo dato vita al progetto «Mai soli»: a ogni giovane disabile viene data la facoltà di scegliere come e dove vivere dopo la scomparsa dei genitori. L’associazione seguirà passo dopo passo il suo percorso, con l’aiuto di personale specializzato e dei tanti volontari. Ci preme valorizzare al massimo le capacità di ciascun disabile. Vogliamo dare un’esistenza alternativa a chi era privo di ogni speranza di futuro. La cultura della diversità – conclude Ferrari – va praticata fino in fondo, ma soprattutto va vissuta in prima persona e divulgata dai protagonisti”.
Patrizio Placuzzi