Tra i personaggi viserbellesi, che ho personalmente conosciuto, non potevo non ricordare e parlare del Dott. Giorgio Matrai, grande amico di famiglia, la cui storia avventurosa, merita di essere raccontata. Per questo mi sono giovato anche delle preziosissime testimonianze della figlia Elisabetta e della nipote Sara Sardelli che gentilmente mi hanno fornito un vasto archivio biografico, utilissimo per redigere questo articolo. Procedendo dall’inizio, il Dott. Matrai, di famiglia ebrea, nacque a Balassaygarmat, piccola cittadina ungherese in prossimità di Budapest, il 9 gennaio 1912 da Simone e Giulia Schmildl che ebbero altri quattro figli.
Cugino di Sandor Matrai famoso difensore della Nazionale Ungherese tra il 1956 ed il 1966, compì gli studi elementari, medi e superiori nella cittadina natale, conseguendo brillantemente la maturità classica nel locale reale ginnasio ungherese nel 1930. Negli anni seguenti, con la presa del potere da parte di Hitler e del Nazismo in Germania, al giovane Giorgio, anche in Ungheria, in quanto ebreo, fu impedito di iscriversi all’Università del suo paese. Espatriò quindi nel 1931 in Italia e precisamente a Padova, dove frequentò l’Università, imparando l’italiano da autodidatta, su libri che i giovani colleghi di studio gli procuravano. In questo periodo fu fortemente aiutato economicamente dal fratello e si laureò con il massimo dei voti in Medicina e Chirurgia il 30 giugno 1936. La tesi di laurea sullo stato emopoietico del rurale, pubblicata, per la sua rilevanza scientifica, in diverse riviste mediche ed il suo ottimo grado di cultura e di attitudine mediche, lo portarono poi ad ottenere nella sessione dello stesso anno, presso l’Università degli Studi di Perugia, l’abilitazione all’esercizio della professione medica.
L’arrivo
a Rimini
Dopo un breve periodo di servizio presso l’Ospedale Civile di Pieve di Sacco come assistente volontario, il Dott. Matrai, si trasferì poi nel Comune di Rimini per prendere servizio tra il17 gennaio 1937 ed 9 maggio 1940 presso la casa di cura “Villa Salus” di Viserbella, ove fu assunto come assistente medico chirurgo, meritandosi la più ampia stima del Dott. Mastragostino direttore di quella struttura ospedaliera Qui, nella località rivierasca conobbe Maria Col, che aveva un forno, con la quale si fidanzò e si sposò, a Serravalle di San Marino il 19 settembre 1938, con l’aiuto di un sacerdote del luogo che era in collegamento con alcuni preti sammarinesi. In virtù di questo matrimonio Giorgio ottenne la cittadinanza italiana, mettendosi al riparo dei provvedimenti razziali promulgati anche in
Italia dalla dittatura fascista, ai sensi della Legge 17 novembre 1938 n. 1738. Così, non più obbligato a rientrare in patria come cittadino magiaro, si salvò dalle retate degli ebrei che, anche in Ungheria, venivano inviati dai nazisti ai campi di sterminio. Nel periodo della guerra mondiale, sfollò con la moglie e la cognata a Sestino in provincia di Arezzo. Rientrato a Rimini, esercitò anche presso la casa di cura “Villa Assunta” del Dott. Contarini, ove aveva un recapito medico, poi prese residenza a Viserbella, in via Cenci, dove nel 1950 nacque la diletta figlia Elisabetta, ed aprì il suo ambulatorio a Viserba in via Roma e solo dopo il 1970 a
Viserbella. Sempre desideroso di accrescere e approfondire le proprie conoscenze mediche nei vari settori, conseguì la specializzazione in Chirurgia, in Ostetricia e Ginecologia già nel 1949 presso l’Università di Genova e la specializzazione in Pediatria e puericultura il 24 novembre 1955 presso l’Università degli studi di Parma. Medico a tutto campo e sempre disponibile, è poi medico libero professionista, sempre pronto ad accogliere i pazienti a tutte le ore, anche notturne. Sa ascoltare, sa parlare e curare in modo professionale ed umano: per lui, chiunque bussi alla sua porta è sempre il benvenuto e, da lui, tanti ricevono un aiuto, un consiglio medico ed umano.
Fu presente fattivamente a molti parti e spesso prestò la sua sapiente e oculata esperienza medica, non tirandosi mai indietro, anche nei casi di prima necessità come quella di medicazioni d’urgenza o di interventi per suture da ferite (anche mio nipote Lorenzo ebbe da lui i punti). Avendolo frequentato, definirei il Dott. Matrai un medico gentiluomo dotato di una eleganza raffinata, di una cortesia naturale e di una cordialità che facevano sentire l’interlocutore sempre a proprio agio. Personalmente lo ricordo, quando veniva spesso a casa mia ed aprendo la porta, il suo primo saluto era per la mia mamma che così apostrofava con il suo tipico accento straniero che non aveva perso: “Signora Contessa, posso? C’è il ragioniere?”. Alla risposta che ancora non era arrivato soggiungeva: “Se non le dispiace attendo!” ed iniziava a conversare amabilmente in attesa di mio padre.
Il medico
poeta
Accanto alla professione medica, che svolse con competenza, signorilità e dedizione, non tutti sanno che fu attratto, fin da giovane, dalla passione poetica. Risalgono infatti a quegli anni le sue prime poesie sulla rivista letteraria ungherese Nogràdi Hirlap assai apprezzate dalla critica. In Italia continuò a scrivere sia prima che dopo la Seconda Guerra Mondiale con crescente successo e molte riviste tra cui Il medico d’Italia pubblicarono periodicamente le sue poesie ed i suoi aforismi veramente calzanti che rivelavano il suo acume intellettuale ed un intimo senso religioso permeato dalla dolcezza e dall’anelito verso il Divino Amore, verso il bene spirituale contrapposto a quello materiale che, secondo lui, angosciava l’umana specie. Si dilettò anche in regia teatrale per la compagnia filodrammatica viserbellese che negli anni ‘60 mise in scena, nel paese, diverse commedie brillanti tra le quali La maestrina e Due dozzine di rose scarlatte ed ai vari giovani attori che rispondevano al nome di Graziella Della Rocca, Vico Semprucci, Alberto Zavatta, Isa Zavatta e altri, forniva il suo prezioso consiglio ed il suo incoraggiamento. Continuò senza risparmiarsi, a curare, sempre con grande disponibilità, i suoi pazienti fino a quando la quasi totale cecità e la difficoltà di deambulazione gli impedirono di esercitare.
Tuttavia, riuscì, ancora vigile e cosciente a spegnere le 100 candeline il 9 gennaio 2012, due mesi prima della sua morte, attorniato dall’amore di tutti i suoi familiari, a cui fu sempre molto legato, perché credeva fermamente, nel valore della famiglia e dalla comunità viserbellese, che mai lo dimenticherà, rappresentata dal parroco Don Benito Montemaggi. Benvoluto ed apprezzato per la sua generosa disponibilità dai cittadini di Viserbella e non solo, e fino all’ultimo fedele alla sua fede ebraica, fu tuttavia rispettoso di tutte le altre credenze. In questo modo visse veramente il concetto dell’amore evangelico che si deve aprire agli altri, riconoscendo in ogni uomo un fratello, senza distinzione di cultura, razza o religione, come si coglie in questa poesia:
Nel cielo c’è il sole, la luna e tante stelle! sanno vivere in pace di giorno e sono tanto belle! Di notte quando stanchi ci dan piacere guardandole. E ci dicono amatevi fratelli anche Voi laggiù.
Enrico Morolli