La povertà mi ha chiuso in gabbia, sto cercando le chiavi”. “Non sono il solo ad essere povero, lo è tutta la mia famiglia”. “Abito a Rimini da tanti anni, non mi ero mai trovata in queste condizioni…”. Sono solo alcune delle tante voci di chi bussa alla porta di uno dei 33 Centri d’ascolto della Caritas, attivi in tutta la diocesi, per qualche indumento, una doccia, un pasto caldo o un letto dove trascorrere la notte. In molti casi, come dimostrano i numeri del Rapporto sulle Povertà 2012 presentato dalla Caritas diocesana sabato 6 aprile, si tratta di persone che di rimanere chiuse in questa gabbia, non se lo sarebbero mai immaginato. Persone, verrebbe da dire, “normali” che fino a ieri avevano un’azienda, un lavoro tranquillo, o comunque riuscivano ad arrangiarsi. La crisi economica e occupazionale che anche questo territorio si porta ormai dietro da cinque anni, li ha messi in ginocchio. Tanto da chiedere aiuto non solo per il pagamento dell’affitto o delle bollette, ma anche per i ticket sanitari o la quota della gita scolastica del figlio.
Per la sua 9ª edizione, il Rapporto sulle Povertà, dopo aver fotografato l’anno scorso l’emergenza casa, si è concentrato proprio sul problema della mancanza del lavoro. Le sue conseguenze su una realtà – i poveri ed emarginati “vecchi” e “nuovi” – che solitamente non passa in altre indagini economiche e sociali, la Caritas diocesana le ha volute “sbattere in faccia” alla capitale dell’ospitalità. E per la prima volta anche sul Web. Perché quello che più interessa, sottolinea il direttore don Renzo Gradara, è il “valore educativo” insito in quei numeri e in quelle storie. Ne emerge “una prospettiva forse parziale e anche un po’ deformata – aggiunge don Renzo – ma anche un Rapporto sull’economia di questo territorio che non tenga conto della povertà, sarebbe deformato”.
I dati. Nel 2012 i 33 Centri d’ascolto della diocesi (compresa la sede di San Giuliano) hanno accolto 7.025 persone. Rispetto al 2010 quando gli utenti erano stati 6.130, l’emergenza riguarda quasi mille cittadini in più. Ma chi bussa alle porte delle Caritas? Sempre meno gente di passaggio visto che aumentano i residenti (dai 2.756 del 2011 a 3.010), e al contrario sempre più italiani (in due anni sono aumentati del 50% arrivando a quota 1.846). Il problema principale che accusano, spiega la responsabile dell’Osservatorio, Isabella Mancino, è proprio il lavoro, “sommato a difficoltà economiche ed abitative che si intrecciano spesso con situazioni familiari complesse e conflittuali”. È soprattutto il dato dei disoccupati, 4.690, a far riflettere: in due anni sono aumentati del 14,2%.
Altrettanto preoccupante è il dato di chi dichiara di vivere con la famiglia: dal 33% del 2010 si è arrivati al 40%, con una stima delle persone complessivamente in stato di disagio, di 18.300 unità. Allo stesso tempo, nel 2012 è salito anche il numero di giovani tra gli utenti: 478 quelli tra i 19 e i 24 anni, +20% rispetto al 2010. “Si tratta prevalentemente di stranieri, soprattutto rumeni, ma cresce anche il numero di italiani, il 15,6%, con genitori separati o con problemi lavorativi”.
Parallelamente, aumentano anche gli anziani sopra i 75 anni (105, +110%) o perché la pensione non è più sufficiente o perché i figli, rimasti senza un impiego, non riescono più ad aiutarli.
Senza lavoro e senza casa. Salgono del 44% rispetto al 2010 anche le persone che non hanno più una casa: 1.167. L’emergenza però va oltre, perché sempre nel 2012 in 2.242 hanno dichiarato di non avere un domicilio stabile. Chi si appoggia a casa di amici, chi dorme in rifugi di fortuna, in macchina o in strada perché non riesce più a pagare l’affitto. Per altri 3.834 utenti Caritas un tetto continua ad esserci, ma è alquanto instabile, soprattutto per coloro che vivono in affitto da privati (3.302). Non vanno meglio le persone che bussano ai Centri d’ascolto pur avendo un alloggio di proprietà (219): la perdita del lavoro compromette gravemente le rate del mutuo.
Addio Rimini. L’unica voce a diminuire nel 2012 è quella degli stranieri, anche se il trend va in parte spiegato con i rientri in patria: da 5.295 scendono in un anno a 5.142 (-3%) pur restando la maggioranza degli utenti dei Centri d’ascolto. Tra le 87 nazionalità registrate, prevalgono i rumeni (1.143) aumentati di quasi il 2%, i marocchini (956, +26%), soprattutto donne (+10%) che cercano di trovare una soluzione dopo che il marito ha perso il lavoro, e albanesi (377, +36%), anch’essi colpiti dalla crisi occupazionale. Diminuiscono invece gli ospiti dall’Ucraina (-11,6%) e Russia (-26,5%) soprattutto per la dimunuzione delle richieste di badanti da parte delle famiglie italiane.
“Guardiamo i poveri da vicino”. Il monito, in una sala affollatissima, è stato dato dal Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, che ha spronato i cristiani a seguire l’esempio evangelico del buon samaritano. “Dobbiamo avere il coraggio di avvicinare i poveri con gli occhi e il cuore di Cristo – ha detto il Vescovo -. La povertà ci deve mettere in discussione, altrimenti rischiamo gargarismi da salotto che non servono a nulla”. Il presidente della Provincia, Stefano Vitali, nel citare don Oreste Benzi ha ribadito che “non è più il tempo del compromesso, ma dell’azione”. Se compromesso vuol dire continuare a chiudere gli occhi di fronte agli evasori del fisco (Vitali torna ancora una volta su questa piaga) occorre allora un passaggio in più: “Avere un comportamento più etico: se non lo faremo – conclude – se non ci indigneremo un po’ di più per cambiare le cose, allora anche gli sforzi della Caritas saranno vani”.
Approfondire, capire e scuotere sono invece le tre parole chiave coniate per l’occasione dal sindaco di Rimini Andrea Gnassi: “Dobbiamo smettere di avere reticenze e dire che non va bene che ci siano centinaia di evasori fiscali, così come non va bene che ci siano 15mila case sfitte e gente che dorme per strada”. Ma non ha mancato neanche di rispondere al monito del Vescovo ricordando le difficoltà attuali degli amministratori nel rispondere ai bisognosi: “Non guardi negli occhi perché in queste condizioni non riesci a dare una risposta”.
Alessandra Leardini