Il mistero più alto e paradossale della fede cristiana è stato svelato alle donne. A loro per prime gli Angeli (o l’Angelo) annunciano la Resurrezione (si veda ad esempio Mt. 28, 1-10; Mc. 16, 1-8; Lc. 24, 1-12; Gv. 20, 1-13). A loro, di ritorno dal sepolcro vuoto, va incontro il Cristo (Mt. 28, 9-10). A una sola, inoltre, è dato di vedere, innanzi ad ogni altro discepolo, il Salvatore risorto (cfr. Mc. 1, 9-11; Gv. 20, 11-18). A tutte, infine, è affidato il compito dell’annuncio alla prima comunità cristiana.
L’evento impossibile si è realizzato: non un ritorno in vita, come nel caso di Lazzaro, non una miracolosa guarigione, ma un fatto che supera ogni portento. La morte è stata sconfitta definitivamente, le porte degli Inferi non hanno più sigilli, perché l’Ade ha inghiottito l’Eterno e ne è stato travolto.
All’arcano fondamentale del cristianesimo sono consacrate, ad esempio, due tavolette di Pietro da Rimini (1309-1338) custodite nel Museo della Città, acquistate nel 1994 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini.
Composte di legno, come l’Albero della Vita e la Croce, di tempere naturali miscelate all’uovo, sintesi del creato intero, e di oro steso a foglie, segno della luce creatrice di Dio, imparagonabile ai colori, le due immaginette, quasi due miniature, facevano parte di una piccola pala d’altare smembrata e venduta a pezzi.
Nella prima (nella foto), si racconta delle pie discepole che, recatesi al sepolcro per portare gli unguenti al cadavere del Salvatore (sono le “mirofore”, latrici di mirra), trovano la tomba vuota e un messaggero celeste, “un giovane” (Mc. 16, 4-5) che racconta loro della Resurrezione avvenuta. A sinistra il Salvatore trionfante con la bandiera crociata sorge dal sepolcro mentre i soldati dormono: non è ciò che le donne vedono ma è il discorso dell’Angelo che prende figura, un “visibile parlare” per dirla con Dante: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È resuscitato e non è qui”.
Nell’altra tavoletta Maria di Magdala – una delle tre – riconosce nel giardiniere il Redentore risorto (Mc. 16, 14-17; Gv. 20, 17) e desidera abbracciarlo, ma egli le sfugge intimandole di “non toccarlo”, di “non trattenerlo”: “non sono ancora salito al Padre; ma vai dai miei fratelli, e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.
La corporeità del Cristo è concreta, ma appartiene a una realtà gloriosa, diversa da quella mortale, al confine tra cielo e terra.
Pietro, collaboratore dell’illustratore di manoscritti Neri da Rimini, miniatore egli stesso, frescante ed esecutore di tavole è uno dei più vivaci rappresentanti di quelle botteghe medioevali che si usa chiamare Scuola Riminese del Trecento.
Il suo punto di riferimento sono ancora le raffigurazioni bizantine e duecentesche dei misteri pasquali, ch’egli reinterpreta con vena popolare e narrativa e con felici decorazioni. Non si dimentichi però che dietro a questa familiarità, Pietro resta un maestro coltissimo, non meno di Giovanni e Giuliano da Rimini, non meno del Baronzio.
Fine cesellatore d’immagini, Pietro con il suo “espressionismo” è funzionale alla potenza predicatoria che i suoi committenti, ecclesiastici o laici, gli richiedono, affinché gli occhi si commuovano e i cuori si persuadano. In lui rivive l’antico simbolismo per cui la tomba ricorda la mangiatoia in pietra del Natale, ma anche l’altare eucaristico su cui si celebra l’incruento sacrificio del pane e del vino, carne e sangue del Salvatore.
Alessandro Giovanardi