Venti righe per esprimere il tumultuoso fluire di pensieri, impressioni, speranze che l’elezione di Papa Francesco ha innescato nel nostro cuore sono come uno starnuto durante un’influenza (immagine strana, lo ammetto, ma ispirata a quello che tanti vivono in questa coda invernale).
La scelta del nome, quel saluto così inconsueto alla prima apparizione, i gesti, i segni che ha voluto porre fin dal primo momento e di cui costella ogni giornata, mi riportano prepotentemente a mezzo secolo fa, a tutte quelle speranze che il Concilio Vaticano II aveva innestato nei nostri cuori.
Fin da subito Papa Francesco ha decisamente mostrato di voler con forza e determinazione rompere gli equilibri che avevano contribuito a segnare la distanza fra la Chiesa-istituzione e la Chiesa popolo di Dio e che lentamente si erano innescati nonostante la santità, l’intelligenza, la personalità dei papi che si sono succeduti.
La Chiesa sente oggi il bisogno di essere purificata e rinnovata e la proposta francescana del Papa è di aggredire queste difficoltà con la semplicità, l’umiltà e la povertà, proprio come fece Francesco 800 anni fa. Non a caso nel suo inizio di ministero petrino ha detto: “Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza: il prendersi cura, la compassione, l’apertura all’altro, chiede bontà” e ancora: “Il vero potere è il servizio”, soprattutto dei “più deboli e dei più poveri”.
Il peso delle necessarie riforme, di questo rinnovamento auspicato dalle sue parole e dai suoi gesti, il nuovo Papa dovrà condividerlo con altri. Diventa dunque ora delicata e fondamentale la scelta dei collaboratori più vicini. Ma Papa Francesco ha già indicato una strada nuova, anzi antica, quella della collegialità. Fin dalle prime parole del suo pontificato, si è proposto come il pastore di una Chiesa locale – certo con un ruolo particolare – chiamato a collaborare “nella carità” con tutti gli altri fratelli nell’episcopato. Non è una novità, è la dottrina affermata dal Concilio Vaticano II.
È un cambiamento epocale rispetto ad una Chiesa troppo romanocentrica. Ma anche qui la scelta stessa di un Papa latinoamericano frutto del Concistoro, sposta l’obiettivo dall’Occidente alle urgenze del Sud del Mondo, dove vive una Chiesa radicata in una realtà molto popolare, in termini di religiosità ma anche di vicinanza concreta alle situazioni di sofferenza e povertà. Una spiritualità che spiazza le nostre vetero-divisioni tra “conservatori” e “progressisti”, che faremo meglio a mettere da parte per evitare di perderci le sorprese che abbiamo e avremo presto davanti agli occhi.
Giovanni Tonelli