L’Italia possiede la chiave di volta del sistema Europa. Ne è convinto Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica Limes, intervenuto lunedì 4 marzo all’appuntamento della 10ª edizione degli Incontri del Mediterraneo, dal titolo “Tra primavere arabe e crisi greca”.
Un suo recente articolo titola: “Elezioni: l’Italia spaventa il mondo”: com’è possibile che ciò accada?
“Il nostro paese è al centro di un sistema che non funziona, l’Europa, ed è l’unico paese del Sud Europa ad avere le dimensioni giuste per far saltare l’Unione. Per questo ora tutto il mondo guarda all’Italia: occorre un governo responsabile che porti stabilità e interpreti idee e bisogni dei cittadini. Accanto a ciò anche tutti noi italiani dobbiamo prendere coscienza del nostro ruolo”.
Lei descrive il mar Mediterraneo (che dà titolo a questa rassegna) come un vero e proprio spartiacque. Perché?
“Il panorama dei paesi che si affacciano al Mediterraneo è in continuo mutamento e l’Italia è una linea di frontiera tra le cosiddette primavere arabe e la crisi europea. Le tensioni economiche che attraversano l’Europa si tramutano velocemente in una sorta di neo razzismo”.
Qualche esempio?
“L’aggettivo ‘mediterraneo’ viene spesso utilizzato in forma dispregiativa nei paesi del Nord Europa: si stigmatizzano i paesi in base alla loro localizzazione. Stanno emergendo tendenze localistiche e antinazionali in vari paesi europei, non solo in Italia”.
Restringendo il campo all’Adriatico, quali sono le sue condizioni geopolitiche attuali?
“Quest’estate assisteremo probabilmente all’ultimo ingresso per un buon lasso di tempo di un paese nell’Unione europea: si tratta della Croazia. Per quanto riguarda la situazione attuale, manca capacità prospettica, la Turchia è ora ‘congelata’, non si prevede un ingresso in Unione, mentre i Balcani sono solo superficialmente pacificati. I problemi che portarono alle guerre e ai genocidi nel passato recente esistono ancora”.
Quindi la situazione è tutt’altro che tranquilla. Come si stagliano le primavere arabe su questo scenario?
“Innanzitutto vorrei chiarire che il termine ‘primavera araba’ è tutt’altro che arabo, è un termine che ha una visione occidentale intrinseca: abbiamo utilizzato la parola ‘primavera’ per altri avvenimenti, come si veda la Primavera di Praga. Inoltre, l’aggettivo ‘araba’ è impreciso in questo caso, poiché questi moti coinvolgono diversi gruppi etnici, si stanno riscoprendo popolazioni indipendenti come i Tuareg o i Berberi che prendono le loro posizioni. Ad ogni modo, tutto iniziò nel 2010 con la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini: all’inizio l’Occidente mostrò supporto morale, ora si tende a essere sconfortati per la complessità della situazione”.
Con quali conseguenze?
“Purtroppo l’entusiasmo non organizzato dei rivoluzionari della prima ora (soprattutto giovani e studenti) ha lasciato spazio ad organizzazioni ben strutturate come i Fratelli Musulmani, diffusi soprattutto in Egitto, ma in costante espansione. Si tratta di una vera e propria lobby che possiede e gestisce tutto: scuole, squadre sportive, partiti… Grazie alla loro capillare organizzazione si insinuano nei paesi in crisi e al collasso, e si presentano come alternativa sia democratica che non”.
Prendiamo il caso dell’Egitto.
“L’Egitto sta vivendo una grande crisi economica, le tre risorse del paese (turismo, canale di Suez e rimesse dei lavoratori all’estero) non sono più sufficienti: questo va ad incrinare ulteriormente una società già spaccata. Le fratture sociali e religiose sono molto forti, c’è una minoranza di cristiani copti ortodossi (15%) che vive ai margini. Senza dimenticare che la frizione è forte anche tra le forze armate e i Fratelli musulmani; non da ultimo, ci sono problemi nei rapporti con l’Occidente che non ha molta fiducia in Morsi”.
Cosa dire invece della Siria?
“La Siria vive da due anni in una guerra civile terribile che sta facendo moltissime vittime e milioni di profughi. C’è ancora il regime di Bashar al-Asad, ma non c’è più Stato e, come sappiamo, senza Stato non può esserci democrazia. L’Occidente non è omogeneo nelle prese di posizione, la Russia ad esempio appoggia al-Asad per interesse in quanto la Siria è uno sbocco sul Mediterraneo”.
Torniamo in Europa: la crisi della Grecia secondo lei è il sintomo di un grande paradosso, quale?
“La Grecia è la prima ad essersi ammalata, in parte anche per colpa della sua classe dirigente, ma la causa di questa crisi europea è il paradosso di un paese fondato sulla moneta e non sulla storia. Il sistema Unione Europea è intrinsecamente disfunzionale: si è provato a costruire un paese a partire dall’economia, dimenticando che il rapporto tra economia e politica si basa sulla realtà di ogni Stato, quindi anche sulla sua storia. Non è un caso che l’uomo politicamente più influente non sia un politico, bensì il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi”.
Melania Rinaldini