Utilizzo “spregiudicato” della cassa integrazione, interruzione dei pagamenti, ricorso al concordato di chiusura o di continuità… Così alcuni imprenditori lasciano a casa i lavoratori scaricando sui creditori le difficoltà. Questa la dura denuncia lanciata nell’editoriale de il Ponte dello scorso numero, a firma di Pierino Buda, presidente della BCC Romagna Est e vicepresidente della Federazione regionale delle banche di credito cooperativo. Una denuncia rivolta non all’imprenditoria <+cors>tout court<+nero>, ma circostanziata, che non ha mancato di suscitare dibattito tra le associazioni di categoria. Di fronte a casi come questi, dov’è la responsabilità sociale d’impresa? In questa prima puntata ospitiamo la risposta del presidente di Confindustria Rimini Maurizio Focchi e del presidente di Api Rimini, Massimo Colombo. Ne è nato un vivace dibattito che proseguirà anche sul prossimo numero, con artigiani e sindacati.
Primo compito dell’imprenditore è preservare l’impresa perché l’impresa, nel suo ruolo sociale, è patrimonio di tutti, rappresenta il futuro per le prossime generazioni ed è uno dei pochi strumenti della società in grado di creare ricchezza e distribuirla a tutti i cittadini.
Siamo convinti che l’imprenditore abbia l’obbligo fondamentale di preservare e fare continuare l’attività della sua azienda ed impegnarsi per garantire lavoro. Ecco perché deve operare in modo etico e se, in un momento di crisi come questo, è costretto a ricorrere a misure straordinarie, consentite dalle norme, non lo fa perché è mosso da motivi di tornaconto, ma perché spinto dalla necessità di preservare l’azienda.
Non escludiamo che ci siano imprenditori che abbiano comportamenti non etici che ovviamente non condividiamo, ma riteniamo siano un’esigua minoranza.
Dalle notizie che abbiamo dagli oltre nostri 450 associati che inquadrano circa 19 mila dipendenti, e come abbiamo avuto modo di vedere dall’ultimo Bilancio Sociale aggregato delle nostre imprese, gli imprenditori del territorio continuano ad impegnarsi in questo loro ruolo con alto senso etico.
Cito alcuni dati rilevanti riguardanti le 32 aziende associate che hanno partecipato al Bilancio Aggregato. Queste continuano a garantire occupazione (nel 2011 hanno dato lavoro a circa 7mila persone, di cui oltre l’87% a tempo indeterminato); continuano a pagare le tasse (nel 2011 hanno versato all’erario in termini assoluti quasi 60 milioni di euro con una media ad azienda di 2 milioni, pari ad una crescita del 12,23% rispetto all’anno prima); mettono al centro le competenze (le ore di formazione sono cresciute del 5,41%); investono in salute e sicurezza (aumentando le spese in questo ambito del 37,67%); investono per garantire uno sviluppo sostenibile e rispettoso dell’ambiente (investendo nello stesso anno 15.644.000 euro).
Non condividiamo la classica sintesi di «impresa povera ed imprenditore ricco», tipica di una cultura dominante anti impresa, che emerge dall’editoriale. Per preservare l’esistenza delle proprie aziende gli imprenditori arrivano molto spesso ad impegnare patrimonio e casa.
Occorre tenere alta l’allerta per assicurarsi che gli imprenditori non vadano in rovina perché con essi anche l’impresa perirebbe.
Bisogna fare un focus sull’azienda oggi messa in ginocchio da un difficile contesto economico mondiale, dalla politica nazionale, dalla burocrazia e dal credito sempre più ristretto. Ci meraviglia che la critica arrivi proprio da un esponente del mondo del credito, che ben sa qual è la situazione attuale delle aziende che non trovano il sostegno di cui avrebbero necessità. Auspichiamo che il mondo delle banche riconsideri la propria posizione e riprenda a finanziare le imprese al fine di sostenerle nel loro percorso per superare la crisi e riprendere la via dello sviluppo.
Maurizio Focchi