Per molti Pinocchio è il cartoon Disney, o lo sceneggiato televisivo di Luigi Comencini o ancora la versione di Roberto Benigni, o, per chi ha buona memoria, la serie discografica a 45 giri con la voce di Paolo Poli (meravigliosa!). Ma a rileggere il capolavoro di Carlo Collodi, più volte trasferito su schermi grandi e piccoli (la prima versione è del 1911, di Giulio Antamoro) si scopre quanto sia opera complessa e profonda (il cardinal Biffi ha pure curato un’ottima rilettura teologica del testo) e, soprattutto, attualissima. Nonostante il libro sia stato pubblicato nel 1881 a puntate sul Giornale dei bambini, mantiene intatta la sua freschezza, con la storia del burattino discolo, impertinente e disobbediente nei confronti del padre “creatore” Geppetto, attratto da continue tentazioni (denaro, divertimento, dolce far niente) e destinato ad una finale trasformazione che ha il sapore della rinascita.
Ben venga allora il Pinocchio animato di Enzo D’Alò, colorata versione che si avvale degli splendidi disegni di Lorenzo Mattotti, designerd’eccezione per un adattamento che riporta al testo di origine con qualche interessante variante (Geppetto è stato anche bambino con i suoi sogni) nel rispetto, pur nella inevitabile sintesi, delle pagine collodiane, per recuperare il rapporto con un libro che è tesoro della letteratura italiana. Il passaggio in sala per grandi e piccoli è doveroso, garantisce l’autore de La gabbianella e il gatto e poi c’è anche il commovente ricordo di Lucio Dalla: la colonna sonora e la voce prestata al Pescatore Verde, infatti, sono stati i suoi ultimi contributi sonori realizzati.
Un cartoon che sprizza energia, un progetto cullato a lungo dal regista e dedicato affettuosamente al babbo scomparso e a tutti i “babbi babbini” del mondo.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani