Caccia all’uomo più temuto d’America. Parliamo di Osama Bin Laden, il cervello dietro alla strage dell’11 settembre, la spina nel fianco più dolorosa nella storia degli Stati Uniti. Una “capatosta” come l’ha definito la regista Kathryn Bigelow (premio Oscar per The Hurt Locker), che spalleggiata dall’ex giornalista e sceneggiatore Mark Boal, dedica le sue attenzioni alle vicissitudini che hanno portato all’uccisione del leader di Al Qaeda. Il punto di vista è dell’analista CIA Maya (la formidabile Jessica Chastain), quasi l’unica donna in un mondo di maschi, convinta più di tutto l’Intelligence americano del nascondiglio di Osama. Intuizioni giuste ma portate avanti con fatica, mentre il tempo scorre, i “grandi capi” nicchiano e il buon esito dell’operazione sembra andare a rotoli.
Zero Dark Thrty (in gergo militare indica le ore notturne in cui si svolgono solitamente le incursioni, tra le 24 e le 4) si apre con lo schermo buio lacerato dalle disperate voci dell’11 settembre. Poi il lungo e teso percorso (157 minuti), tra torture ai prigionieri, indagini e attentati, ombre, contraddizioni e angoli nascosti nelle “stanze dei bottoni” (in Usa c’è chi ha cercato di bloccare l’uscita del film) per un racconto di grande carattere e forza, con Maya sola a combattere la sua personale guerra, con il suo personale “cuore di tenebra” da gestire, in un’impresa che si trasforma in ossessione, mentre il pericoloso leader mediorientale appare sempre più irraggiungibile.
Il film della Bigelow (61 primavere) mostra ancora una volta il suo carattere e la testardaggine, dotata di una forza narrativa che pochi colleghi uomini riescono ad eguagliare. Al confronto il precedente Code Name: Geronimo, sulla stessa vicenda, appare un puerile videogioco.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani