Un regista chiave del cinema americano contemporaneo (ripassate i suoi film precedenti tipo Magnolia e Il petroliere). Due attori travolgenti, premiati a Venezia con la Coppa Volpi (Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman), e la presenza femminile di Amy Adams. Odore di Oscar per The Master, pellicola dalle potenti credenziali che sottolinea la capacità di racconto del regista (pure sceneggiatore), giocata sul rapporto tra maestro e discepolo nell’America anni ’50. Sono gli anni in cui Scientology mette radici nel Paese, ma al film di Anderson interessa piuttosto riprendere con intensità i meccanismi sottili che portano all’“educazione” di un soggetto da parte di congreghe dai dubbi valori, annullando la più elementare coscienza individuale. Del resto il discepolo Freddie (Phoenix), il marine tornato dalla guerra con profondi turbamenti, incapace di trovare un posto in società, si presenta come soggetto malleabile davanti agli occhi del maestro Lancaster (Hoffman), il creatore della Causa, la congrega istituita per offrire nuove prospettive agli adepti. Ma così malleabile Freddie non lo è: dinamite pura, pronto ad esplodere quando se ne presenta l’occasione (vedi lo scatto di rabbia nella cella), ora sedotto dalla Causa, ora più perplesso, fino al bivio decisivo tra la libertà e la “prigionia” in gruppo. The Master non è opera minore nel raccontare umori, inquietudini e scelte di un individuo alla ricerca della sua identità. Le musiche di Jonny Greenwood dei Radiohead, sottolineano con nervosismo sperimentale il complesso duetto relazionale tra i due uomini, con la moglie di Lancaster pronta a rifiutare il discepolo se non segue le direttive della Causa. E il sogno americano di rinascita anni ’50 va a farsi benedire cozzando contro ideologie soffocanti.
Il Cinecittà di Paoo Pagliarani