Buoni padri si diventa riconoscendosi figli. Non ha dubbi il professor Daniele Celli, preside del liceo scientifico paritario “Georges Lemaître” di Rimini e docente di Pedagogia generale all’Istituto Superiore di Scienze religiose “A. Marvelli” di Rimini. Celli è intervenuto sul tema
in un incontro che si è svolto a Serravalle, Castello della Repubblica di San Marino, dal titolo Una società senza padri?, primo seminario del progetto volto a riflettere sull’importanza della figura paterna nella crescita dei figli, del quale il Ponte è media partner (info: Centro Sociale S. Andrea, tel. 0549-900759, 338-3784370, mail: csandrea@alice.sm).
Con il conforto di numerose citazioni letterarie, il prof. Celli ha analizzato il ruolo educativo del padre e le radici della sua fragilità, partendo dal concetto che la vita è prima di tutto un dono di Dio.
Professore, prima di essere padri si è figli. Un punto di partenza indiscutibile, eppure…
“Sembra ovvio ma non lo è in una società come la nostra in cui prevale l’illusione di farsi da sé, indipendentemente da ogni legame. In realtà nessuno è libero di decidere di nascere, vivere e morire. L’uomo moderno attraversa una grande crisi antropologica, è affetto da una patologia sociale grave, la smemoratezza, il non sapere da dove viene a causa della superficialità continua che attanaglia le giornate. Non si pensa che il fatto di svegliarci la mattina è un dono: nel sonno ci affidiamo, non siamo padroni di noi stessi e ci svegliamo indipendentemente dalla nostra volontà. Ogni mattina la vita ci è regalata, se fossimo umili e semplici di cuore da pensare alla vita come un regalo ci sarebbe meno arroganza e, di conseguenza, meno violenza”.
Come si traduce questa dimenticanza nell’esperienza della paternità?
“La vita è un bel regalo di Qualcuno, se non ci pensiamo difficilmente siamo indotti a fare un analogo regalo. Si parla tanto di calo delle nascite in rapporto a motivi di ordine sociale, economico… ma esiste anche un motivo più radicale. Una volta, essere padre era motivo di orgoglio, oggi la paternità è vissuta come un peso e spesso gli uomini diventano padri per decisione della donna. Alla radice della debolezza del desiderio di paternità c’è la fragile consapevolezza di aver ricevuto un dono bello per iniziativa di Qualcuno. La vita ha una specificità, la libertà. Come dice Don Chisciotte a Sancio Panza la libertà è il bene più prezioso che i cieli abbiano donato agli uomini. Essere liberi non vuol dire fare quello che ci pare, altrimenti siamo schiavi delle emozioni, degli stati d’animo o degli istinti. Significa invece riconoscere ciò che è vero e impegnare la volontà per seguire la verità. E la verità è che apparteniamo a un Altro, se ne siamo consapevoli allora il sentimento predominante è la gratitudine perché ci siamo”.
L’attualità ci mette ogni giorno di fronte a fenomeni che denotano una crisi educativa epocale. Da dove nasce?
“Alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita scrive il Santo Padre, Benedetto XVI nella lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione nel 2008. Educare vuol dire aiutare un altro ad entrare nel mondo. Se non abbiamo ragioni per aver fiducia che la giornata è la possibilità di gustare la bellezza della vita, non abbiamo un motivo per educare. La vita è un dono, ma è anche un compito, qualcosa che va realizzato, affidato alla responsabilità di ciascuno. Oggi la figura maschile è quella più fragile, si sente spesso parlare di uxoricidi e violenze domestiche che altro non sono se non sintomo di questa fragilità”.
Quali presupposti per essere buoni genitori?
“Per aiutare un bambino a entrare nel mondo, ad affrontare il compito della vita e a coltivare la propria libertà, occorre che madre e padre collaborino. I primi cinque anni di vita sono fondamentali per apprendere i fondamenti: i figli sono ottimi allievi, noi siamo sempre educatori perché comunichiamo continuamente noi stessi. Il bambino impara a voler bene al babbo e alla mamma a seconda di come la mamma e il babbo sono riflessi negli occhi dell’altro genitore, quindi una coppia che si ama è il primo presupposto per educare un figlio. Si è buoni genitori non perché non si sbaglia mai, ma se si è bravi come marito e moglie. Oggi il rischio è di restare eterni adolescenti fermi allo stadio dell’innamoramento senza passare mai all’amore vero e proprio che è un’altra cosa”.
Uomo e donna, differenti e complici del progetto educativo: qual è il loro ruolo?
“Uomini e donne hanno le proprie specificità e il proprio compito a dispetto di una società moderna relativista che vuole appianare per paura le differenze, anche quelle di genere: per crescere, un bambino ha bisogno di fare i conti con l’identità maschile e femminile perché la confusione tra i generi genera persone squilibrate. Bisogna che nella coppia ci sia chiarezza della specificità di ciascuno: chi rappresenta la legge del dono è la mamma che dona la vita, introduce il figlio alla bellezza del mondo ed è capace di tenerezza infinita, mentre la legge del lavoro è rappresentata dal babbo, che insegna che la vita ha regole e implica fatica. Il bambino ha bisogno di un padre sicuro, che gli permetta di sbagliare, che non si creda infallibile ma sappia dare dei punti di riferimento, come ci insegna la parabola del Padre Misericordioso (erroneamente chiamata «del figliol prodigo»): non è un problema sbagliare ma è importante sapere che c’è un padre che ci aspetta, un riferimento stabile e sicuro”.
Di fronte alla fragilità degli uomini come padri-educatori cosa possono fare le donne?
“Il ruolo delle donne è decisivo. È alle madri che spetta il compito di risvegliare i mariti, spronarli a prendersi le proprie responsabilità educative, forzarli se necessario ad essere presenti nella vita dei figli fin dal concepimento, consapevoli che la figura paterna incide profondamente sulla crescita dei figli. Non dimentichiamo che l’uomo è generato dalla donna e può essere salvato da lei”.
Qual è il fine ultimo dell’educazione?
“Scopo dell’educazione è permettere a un altro di scoprire la libertà per impegnarsi a scoprire il senso delle cose. Per concludere con una metafora tratta da Il Profeta di K. Gibran, i genitori insieme devono essere saldi e fermi come un arco per consentire alla freccia cioè al figlio di andare lontano: “ (…) L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e con la Sua forza vi tende affinché le Sue frecce vadano rapide e lontane. Fatevi tendere con gioia dalla mano dell’Arciere; Perché se Egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l’arco che sta saldo»”.
Il seminario su “Una società senza padri?” proseguirà con altri incontri specifici sui vari aspetti della paternità. Ma è possibile continuare a dialogare e suggerire tematiche specifiche anche sul blog: centrosantandrea.altervista.org.
Romina Balducci