La notizia dei cinesi che vendevano panini a ricreazione fuori da una scuola superiore riminese mi ha messo un po’ di amarezza. Non tanto per il commercio abusivo, a cui noi riminesi siamo purtroppo abituati. Ma per la replica dei ragazzi che lamentavano la mancanza di un bar interno all’istituto: ce l’hanno tutti! Fossi il preside, prima di prendere in considerazione la proposta sottoporrei i ragazzi a una prova: che alla merenda sappiano pensarci da soli. Nei college USA i corsi di economia domestica valgono crediti. Dai nostri ragazzi, invece, non ci si aspetta neanche che sappiano confezionarsi un panino. A onor del vero, ammetto rispetto a loro di essere stato fortunato. Ricordo con nostalgia le tappe mattutine alla bottega sotto casa per farmi fare il panino da portare a scuola. Oggi quella bottega non c’è più e nei supermercati, salvo qualche lodevole eccezione, a chiedere un panino si viene guardati come se si chiedesse l’incasso della giornata con un passamontagna in testa. Qualcuno addirittura lo scrive: “Non si confezionano panini imbottiti”. Niente tirate contro la grande distribuzione: non è questo l’oggetto. Ma una difesa del panino fatto in casa. Ai dirigenti scolastici, prima di pensare al bar, chiedo solo di chiamare una brava mamma per un’ora di tecnica del panino col salame. Se non della spianata con la mortadella: sarà pure protezionismo ma quella lì, per favore, non lasciamola in mano ai cinesi.