Nel suo blog “Sto con le balene”, lo scorso giugno la scrittrice riminese Anna Rosa Balducci ha raccontato una scena inquietante vissuta in prima persona, con lei costretta ad intervenire presso una pattuglia di Polizia per evitare “un pestaggio in piena regola”. C’è “un gazebo occupato nottetempo da giovani stranieri con sacchi di cianfrusaglie e forse oggetti personali”. C’è l’agente “nervoso, gonfio di muscoli, con una inquietante testa rasata” che inveisce contro di lei che protesta. C’è l’altro poliziotto “più calmo” che interviene e fa cessare l’azione.
Adesso lo stesso mondo doloroso dell’immigrazione, lo ritroviamo nell’ultima prova narrativa di Anna Rosa Balducci, La casa color grigioperla (Ed. Progetto Cultura, Roma). Dove si racconta una storia d’ordinaria vita di quindici persone fuggite verso l’Europa per trovare salvezza e futuro: due donne e due uomini vecchi, “i quattro giovani, di cui uno più serio e distinto, l’altro che si intendeva legato alla donna più giovane, sicuramente lo sposo di lei”. E poi un’altra donna giovane e cinque bambini, due femmine e tre maschi.
Tutto comincia nella missione di frate Giacomo, che raccoglie tre neonati strappandoli alla morte. L’ultimo lo aveva trovato otto anni prima, “nascosto tra i cespugli che erano cresciuti attorno ad una pozza d’acqua, rimasto lì miracolosamente illeso, dopo che una razzia di alcuni predoni travestiti con oscene divise militari aveva colpito il villaggio, rubando e distruggendo”. Frate Giacomo, “quando li aveva sentiti trafficare la notte della partenza”, non si è alzato a salutarli. Appresa la loro scelta, “aveva inghiottito una lacrima, mentre si costringeva a guardare lontano a quel futuro di cui tante volte aveva parlato”. Pensando ai suoi oltre vent’anni trascorsi in quel villaggio, fa un bilancio: vi aveva portato “la parte buona del suo mondo occidentale”, l’infermeria, la scuola, un emporio da periferia americana dove trovavi tutto. Dopo l’approdo in Italia, dal gruppo riceve una telefonata. Ricaccia le lacrime con una scrollata di capo: c’era tanto da fare, ancora, nel villaggio.
L’esperienza narrativa di Anna Rosa Balducci sconvolge la trama con l’intervento di più narratori. C’è quello che racconta gli eventi da fuori, poi un uomo giovane che appartiene ai profughi, ed infine un bambino dello stesso gruppo dei profughi.
L’autrice a metà del lavoro dialoga con “il solito osservatore” che parla di una storia noiosa, di retorica dei buoni sentimenti, e ricostruisce la trama nascosta degli antefatti, avviando una specie di labirinto narrativo che serve a testimoniare di un semplice fatto, ovvero della complessità delle vicende vissute da questi sconosciuti. Che agli occhi della gente appaiono soltanto dei soggetti pericolosi da cacciare dalla casa in cui hanno trovato rifugio.
Antonio Montanari