Non era ancora l’alba e noi eravamo già in azione, nei vigneti che circondano la villa di Torchiarolo, un tempo proprietà della Sacra Corona Unita (SCU). La giornata inizia presto nei campi di lavoro e formazione sui terreni confiscati.
Quando mi sono iscritta non immaginavo che al ritorno sarei stata così ricca, non certo di soldi ma per ciò che ho appreso vivendo per dieci giorni nel cuore della mafia pugliese. Pensavo fosse un’esperienza di volontariato come altre (ne ho fatte tante, sia in Italia che all’estero). Ma l’essere al centro di quello che per anni è stato un luogo di terrore, conoscere le sfaccettature della mafia e l’impegno di chi ogni giorno lotta per contrastare l’ingiustizia e l’illegalità, mi ha colpito in modo particolare. Mi ha colpito vivere nella villa confiscata al boss, sapendo che – dopo aver scontato circa la metà degli anni previsti in carcere – il “don” oggi gira libero per il paese.
Un po’ di storia. Mi trovavo nella casa di Antonio Screti, uno dei cassieri della SCU, dove venivano prese tutte le decisioni importanti. Le località di S. Pietro Vernotico, Torchiarolo e Mesagne (Brindisi) per la loro posizione strategica, sono state negli anni ’80 e ’90, il centro delle attività illecite della SCU. Dal contrabbando di sigarette alla tratta di uomini e armi, fino alla produzione del vino al metanolo. La vicinanza ai Balcani favoriva i traffici illegali permettendo il riciclaggio di denaro. Nel giardino che circonda la villa confiscata a Screti, ci sono alcuni simboli di onnipotenza: i grandi alberi provenienti da tutto il mondo e la cappella dove avveniva il rito di affiliazione alla SCU.
Il Vescovo d’Ambrosio è venuto a chiedere perdono per ciò che in quella cappella è stato compiuto da alcuni sacerdoti che, ignari o meno di ciò che avveniva nella villa, per anni vi hanno celebrato l’Eucarestia. Altro segno di potere sono le stalle che accoglievano cavalli di razza, predisposti alle corse clandestine. Nel grande parcheggio, adiacente la strada che porta al mare, al tempo sorvegliata dai contrabbandieri, avveniva lo smercio illegale. Tutto questo in un clima di omertà dei paesani che, per paura e in cambio di qualche stecca di sigaretta, aiutavano i contrabbandieri. Oggi questo patrimonio, grazie alla Legge sulla confisca dei beni illeciti e al loro riutilizzo a fini sociali, è affidato alla Cooperativa “Hisotelaray, Libera Terra Puglia”; prende il nome da Hiso, bracciante albanese ucciso su queste terre perché si è opposto al volere del suo caporale.
Il progetto. “E!state Liberi” ha coinvolto – quest’anno – più di cento ragazzi, provenienti per lo più da Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. I campi sono aperti a giovani di ogni età, ma vi partecipano soprattutto giovani tra i 18 e i 25 anni. Gli adulti della CGIL e dello SPI, completano – insieme ai coordinatori di Arci – la schiera di quella che è la presenza sui territori confiscati nella zona.
“Questi campi – spiega Alessandro Cobianchi, responsabile dell’Area Legalità democratica di Arci – sono strumento di contrasto alla mafia. Vi partecipa un popolo di non indifferenti, soggetti in movimento che conoscono e si incontrano, che vogliono capire. Oggi non dobbiamo più essere tifosi, come ai tempi di Falcone e Borsellino, ma giocatori, cioè svolgere azioni concrete, come lo è la partecipazione a questi campi. L’antimafia è un movimento sociale, la ricostruzione di un tessuto culturale – prosegue -. Dobbiamo mettere in moto processi di cambiamento lavorando in rete, mettere insieme i diversi punti di vista per contrastare il fenomeno”. La strada è ancora lunga. “Al momento mi pare che manchi la percezione della gravità. La mafia non si trova soltanto al Sud. Bisogna ripartire dai quartieri, dai territori. L’antimafia ha bisogno di magistrati, ma anche della società civile, della mobilitazione delle coscienze”.
Letizia Rossi