Una piattaforma al largo del mare che diventa – o meglio, cerca di diventare – uno stato autonomo, beffando il paese vicino per una manciata di chilometri. È la storia dell’Isola delle Rose, un sogno trasformatosi in fugace realtà a pochi chilometri in mare di fronte alla battigia di Torre Pedrera alla fine degli anni ’60.
A raccontarla si scoprono facce incredule: la storia ha più del romanzo che della realtà, soprattutto considerando che è ambientata al largo delle chiassose e sbruffone spiagge riminesi, non in qualche esotico paese lontano o vicino alle più industriose coste americane. Eppure la storia è vera, e nasce dall’idea geniale dell’ingegner Giorgio Rosa, bolognese. Nei 55 giorni della propria esistenza, l’isola ebbe i propri consoli, una propria lingua ufficiale – l’esperanto – francobolli e fece non poco scalpore nel panorama internazionale, tanto da costringere l’Italia repubblicana alla sua unica guerra aggressiva. Erano gli anni della cortina di ferro, non ci si poteva permettere un vicino così sospetto, nonostante l’isola fosse fuori dalle acque territoriali italiane.
Insomma, gli elementi del romanzo ci sono tutti, ed oggi, grazie alla penna di Walter Veltroni, c’è anche la finzione: il libro L’isola e le Rose, presentato proprio a Rimini nel complesso degli Agostiniani. Insieme allo scrittore, sul palco, anche il giornalista Sergio Zavoli, il sindaco della città Andrea Gnassi e l’attore e comico Fabio De Luigi che ha prestato la propria voce per alcune letture capaci di dare vita e vitalità alle pagine del libro, complice anche una volutamente spiccata inflessione romagnola.
“Quando mi è capitato di raccontare la storia del mio nuovo romanzo – racconta Veltroni – la risposta è sempre stata la stessa: hai inventato tutto. Non è stato facile convincere amici e interlocutori che invece la storia era vera. Io ho solo aggiunto alcuni personaggi, cambiato i nomi, messo qualche evento collaterale e sicuramente ho aggiunto la veste della finzione. Ma il cuore della storia è tutto vero”.
Prosegue Veltroni: “Per me Rosa è stato un utopista per caso, ha ancora negli occhi la luce di chi ha fatto qualcosa di strano, di innovativo. Nella sua isola c’è tutto lo spirito degli anni ’60. E non intendo solo nell’iconografia classica, quella delle rivoluzioni del ’68, ma in generale nell’essenza, in quella voglia di fare qualcosa di nuovo, di pensare nuovi paradigmi”.
L’esempio dell’Isola delle Rose tocca i sentimenti. Secondo il sindaco Gnassi “oggi abbiamo lo sguardo breve e il pensiero corto. Negli anni del libro, invece, gli orizzonti erano più grandi. E forse non è un caso che questa storia nasca a Rimini, un paese che dopo la guerra diventa una metropoli e ha in sé i limiti e le grandi potenzialità del paese”.
Perché proprio a Rimini? De Luigi con poche pesate parole dà un’immagine che esemplifica meravigliosamente la terra riminese e i suoi abitanti. “I romagnoli hanno lo sburonismo – dice l’attore santarcangiolese – questo modo di fare i grandi, i gradassi, come se sapessero e potessero fare tutto, ma anche il disincanto. Questo è un nostro lato meno conosciuto, non ci facciamo prendere tanto dalle cose. Non siamo poi così creduloni”.
Ma Weltroni aggiunge un altro elemento, un’ospitalità verso i turisti, soprattutto i tedeschi, che se oggi pare scontata non lo era però negli anni ’50 e ’60 quando ancora erano vividi i ricordi della seconda guerra mondiale, di quei mesi in cui italiani e tedeschi si sparavano addosso dai due fronti di un paese in conflitto. “Eppure qui i tedeschi sono arrivati e sono stati accolti amichevolmente”.
Uno sguardo al passato, concreto e poco malinconico, arriva dalle riflessioni di Zavoli che ricorda la grande capacità di Rimini di riprendersi dai bombardamenti a tappeto che la rasero al suolo alla fine del secondo conflitto mondiale.
“Erano anni intrisi da un sentimento di leggerezza, tutto sembrava a suo modo facile. Si veniva da una grande tragedia e ci si scopriva capaci di credere nel dopo. Anche l’isola delle Rose avrebbe aiutato a far dimenticare quei giorni terribili”.
Più volte il pensiero di tutti va a Fellini. L’immaginazione è il modo più alto di pensare – disse. E proprio riflettendo su questo carattere fantasioso, aggressivo anche e mutevole e malinconico come la nebbia, Veltroni precisa che una storia del genere, al largo di un’altra costa non avrebbe avuto lo stesso fascino.
Una storia, tra l’altro, innovativa e lungimirante. Oggi i progetti per le città galleggianti sono sempre meno un sogno utopico. Metropoli libere, svincolate dai lacci della burocrazia in cui far partire nuovi progetti, start-up e modelli ancora non sperimentati. Se ne parla sempre di più, e presto ne sorgeranno alcune, forse al largo di San Francisco.
Gnassi ha lanciato un sasso. Nelle acque riminesi ci sono sedici piattaforme, quasi tutte dismesse, più un’altra fuori dai confini territoriali. Che sia il caso di allargare nuovamente gli orizzonti? Una storia c’è già stata. Ora è stata anche ben raccontata.