Terminata la processione d’ingresso accompagnata dal canto (Introito), i Riti d’introduzione della Messa prevedono il Saluto all’altare e poi al popolo radunato: giunti in presbiterio (il luogo in genere rialzato e distinto dalla navata, dove si trova l’altare e in cui viene proclamata la Parola di Dio), il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino (piegando capo e busto) e, in segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano; il sacerdote, secondo l’opportunità, lo incensa girandogli intorno e poi prende posto alla sede della presidenza per salutare il popolo radunato «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
Perché questi gesti di venerazione? Perché salutare prima un mobile e poi le persone? Sembrerebbe calpestata un’elementare regola di bon ton! Che cosa significa l’altare e quale ruolo riveste nella liturgia eucaristica?
L’altare (da alta-ara=ara-posta-in-alto, perché ciò che è elevato è punto d’incontro tra l’uomo e Dio, secondo la simbologia religiosa) o mensa del Signore (trapeza tou Kyriou), come la chiamano più comunemente i nostri fratelli ortodossi, ha due significati, che racchiudono i due aspetti dell’unico Mistero: quello del sacrificio e quello della mensa (CCC 1383).
L’altare, in primo luogo, è la croce su cui si rende presente il sacrificio di Cristo nei segni sacramentali del pane (carne) e del vino (sangue): «L’altare della Nuova Alleanza – insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, parafrasando la Lettera agli Ebrei (13,10) – è la croce del Signore» (CCC 1182). In altre parole, ciò che Gesù compì sulla croce quel 14 di nisan dell’anno 33 d.C., ogni domenica lo compie sull’altare di fronte a coloro che rispondono alla convocatio del Padre.
In secondo luogo, l’altare è la mensa, il banchetto nuziale, presso cui lo Sposo (Cristo) invita e accoglie la Sposa (Chiesa) per rinnovare le nozze; una Sposa che il Figlio desidera talmente unire a Sé da farsi cibo per lei.
I Padri della Chiesa hanno sempre visto nell’altare cristiano il simbolo di Cristo stesso, presente in mezzo ai suoi fedeli, sia come vittima offerta per la nostra riconciliazione, sia come alimento celeste che si dona a noi. Scrive al proposito san Giovanni Crisostomo: «Il mistero di questo altare di pietra è stupendo. Per sua natura, la pietra è solo pietra, ma diventa sacra e santa per la presenza del Corpo di Cristo. Ineffabile mistero senza dubbio, che un altare di pietra diventi in certo modo Corpo di Cristo» (Omelia XX, 2) e gli fa eco sant’Ambrogio: «Che cosa è l’altare di Cristo se non l’immagine del Corpo di Cristo?» (I Sacramenti, 5,7).
Segno di questo convincimento è il fatto che i cristiani non hanno mai usato il termine ara per indicare il luogo del sacrificio eucaristico, ma sempre altare o mensa del Signore come la chiama anche san Paolo (1Cor 10,21); al punto che nei primi secoli venivano accusati di idolatria – come ci riporta Minucio Felice, avvocato romano e apologeta cristiano – perché non avevano are sacre. La ragione era semplice: era il Mistero celebrato che rendeva sacro l’altare e non viceversa!
Essendo la croce e la mensa di Cristo, e quasi Cristo stesso, l’altare è il centro dell’azione di grazie (l’eucaristia) e il centro della Chiesa (poiché l’Eucaristia fa la Chiesa), per cui anche a livello architettonico (che deve sempre riflettere il significato teologico!) è il centro della chiesa come edificio sacro e non può essere che unico (come unico è Cristo e unica è l’Eucaristia della Chiesa) e, anche quando ce ne sono molti si distingue sempre un altare maggiore.
Da ciò deriva la sua santità, e quindi il suo essere degno di onore e di venerazione (ma non di adorazione, poiché solo Dio stesso si adora, mentre le cose sante solo si onorano) con l’inchino, il bacio e l’incenso, e la ragione per cui su di esso si compiono tutt’oggi gli atti più importanti della vita: gli sposi firmano sul registro il loro matrimonio, i religiosi depongono l’autografo della loro professione. L’altare è venerato anche fuori dalla celebrazione liturgica, per cui quando si passa davanti ad esso è sempre bene fare un inchino, anche solo con il capo (la genuflessione, invece, che è segno di adorazione – come abbiamo già spiegato in una precedente catechesi – si fa al tabernacolo quando è posto dietro l’altare e non a quest’ultimo).
Esistono anche alcuni significati simbolici secondari dell’altare, che la Tradizione liturgica ci ha trasmesso, legati soprattutto alla sua materia lapidea. Con essa, infatti, l’altare rappresenta Cristo pietra viva, «scartata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pt 2,4); Cristo pietra angolare della Chiesa, su cui ogni costruzione cresce ordinata (Ef 2,20), e Roccia dal cui costato sgorga l’acqua viva dello Spirito Santo (1Cor 10,4).
Vorrei oggi concludere con una profonda intuizione dei maestri spirituali, i quali paragonano il cuore a un altare: «Che cos’è l’altare di Dio se non l’anima di coloro che conducono una vita santa? A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti» (Gregorio Magno). La Messa, perciò, continua sull’altare del cuore, su cui offriamo quotidianamente noi stessi a Dio e agli uomini con cui viviamo.
Elisabetta Casadei
* Queste catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).