Non è facile osservare il Ramadan fuori dai confini islamici. Si rischia anche il posto di lavoro. Come è successo i primi di Agosto in Francia, a Gennevilliers, una cittadina alle porte di Parigi, dove quattro musulmani sono stati licenziati da un campo estivo perché praticavano il digiuno e questo, secondo gli ispettori inviati dal Comune, metteva a rischio la sicurezza dei bambini. Ma senza arrivare a questi eccessi, il meno che ti possa capitare è essere derisi e incompresi. Specie qui, nella Riviera della 9 bar, dove birra e alcol scorrono a fiumi, mentre c’è chi non tocca un goccio d’acqua neppure con 40 gradi all’ombra. Come Rachid, Khadija, Samir, Ahned. Queste le loro storie
Rachid non si lamenta. Anche se non è facile lavorare 12 ore di fila con un caldo infernale e senza la possibilità di bere perché il Ramadan lo vieta. Lui è musulmano praticante e, pur con la gola arsa, si sente felice di fare un sacrificio per Allah. Rachid è in Italia da quattro anni e lavora in una serra di ortaggi. Che d’estate diventa un forno: dalle 6 alle 18, tutti i giorni. Durante il mese sacro, appena tornato a casa inizia a preparare la cena e al tramonto fa colazione con gli amici. Tutti insieme vanno poi in moschea a pregare fino a mezzanotte. Al rientro si mettono a tavola quindi tutti a letto per poche ore di sonno. Alle tre e mezza suona la sveglia per la preghiera poi non fai a tempo a riaddormentarti che è già ora di alzarsi di nuovo per tornare al lavoro. “Alla fine del Ramadan sono dimagrito di dieci chili ma finché vivrò voglio continuare a farlo per amore di Dio…”
Una bici stracarica di indumenti e cianfrusaglie attraversa il parco che è ancora l’alba. Con non poca fatica pedala Samir, un ragazzo tunisino che fa l’ambulante in spiaggia. Mentre sta andando al lavoro incontra per caso don Renzo, il direttore della Caritas, in uno dei suoi abituali giri mattutini. “Questa è la mia boutique ambulante Don… le interessa qualcosa per le donne che vengono in Caritas?” Don Renzo sta allo scherzo e gli risponde che durante il Ramadan non si può andare in spiaggia e guardare le donne in costume. Allah non vuole… “Io non guardo le donne Don, cerco solo di vendere i vestiti e ti assicuro che lavorare sotto il sole e con questo caldo, senza bere e mangiare, è un bel sacrificio. Per non parlare di quando devi iniziare a correre perché c’è qualche poliziotto che vuole sequestrarti la merce!”.
Samir dorme sotto un ponte. Con quello che guadagna non riesce a pagare un affitto e poi non ha i documenti in regola. “Senza quel pezzo di carta sei considerato meno di un cane ma mi sorregge la fede. Il Ramadan mi fa sentire forte, legato alle mie origini e spero che Dio possa aiutarmi e cancelli i miei peccati!”.
“Piccola speranza”. È il nome, tradotto in italiano, di sua figlia nata da poche settimane. Ma anche il sogno che, nonostante tutto, non l’abbandona: trovare un lavoro stabile in Italia e ricongiungersi con la propria famiglia che oggi vive a Casablanca.
Elardi Ahned ha 34 anni ed è marocchino. Nel 2001 ha lasciato il proprio paese e, dopo una breve permanenza in Francia, è arrivato in Italia. Macerata, Cingoli, Firenze, Bologna, Ischia e poi Cattolica, Rimini, Riccione. Facendo un po’ di tutto: muratore, cameriere, pescatore, distributore di volantini, quello che capitava. Dopo tanto peregrinare, finalmente trova un lavoro stabile in una lavanderia ma nel 2010 l’attività del negozio si riduce e viene prima licenziato, poi riassunto come dipendente stagionale. Il suo contratto scade a settembre e dopo non sa come potrà continuare a mandare i soldi a casa per la bimba appena nata, che ancora non ha visto. In questi mesi sta vivendo in Caritas pagando un piccolo affitto e anche lui, da buon musulmano, confida nell’aiuto di Dio.
In Via Madonna della Scala, per lui e gli altri musulmani praticanti, in occasione del Ramadan, sono stati modificati sia il menù della cucina sia gli orari del rientro notturno per consentire la partecipazione alla preghiera in moschea dopo il tramonto.
Il sacrificio
Khadija: “Quando aprivo il rubinetto per lavare i pavimenti la tentazione era grande…”
Khadija è una dipendente marocchina della Caritas e si occupa della pulizia dei locali. Più volte durante il mese del Ramadan è stata vista sudare ma sempre con il sorriso sul volto. “Quest’anno – racconta – il Ramadan ha richiesto molto sacrificio, il caldo è stato pesante e il bisogno di bere era molto forte. Quando aprivo il rubinetto per lavare i pavimenti la tentazione era grande… Più volte mi è girata la testa. Spero che questi sacrifici cancellino i miei peccati”.
Khadija è in Italia con la famiglia e questo l’ha aiutata perché “vivere insieme i momenti di preghiera e i pasti notturni è risultato più semplice che farlo da soli”. D’altra parte per un musulmano non è facile vivere le proprie tradizioni lontano da casa, in un paese straniero dove le abitudini sono completamente diverse. “Sono qui ormai da dieci anni ma ancora sento la nostalgia della mia terra, soprattutto in questi periodi dell’anno…”
A cura di
Isabella Mancino,
Zineb Nja,
Alberto Coloccioni