C’è un passaggio del discorso con il quale Giovanni XXIII apre i lavori del Concilio ed è la spiegazione che papa Roncalli offre di quell’“improvviso fiorire” dell’idea dell’assise conciliare. “Ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiamo imparato dalla storia, che pur è maestra di vita”. È il passaggio che si conclude con quel prendere le distanze dai “profeti di sventura” come li chiama papa Roncalli.
È una frase importante del discorso di apertura del Concilio, perché descrive l’obiettivo che si era prefissato nel proporre alla Chiesa un simile evento: è cioè un invito alla Chiesa tutta a non fermarsi di fronte alle difficoltà, a non restare immobile, ma a saper camminare in quel rinnovamento che solo può aiutare a vincere il pessimismo dei profeti di sventura. E non si tratta, per Giovanni XXIII, di mettere in discussione le verità di fede, contenute nella dottrina, ma di trovare, dirà sempre nel suo discorso il Papa, forme con le quali enunciare queste verità. Nell’intenzione di papa Giovanni l’idea di fondo è di adeguare il linguaggio della vita e della dottrina della Chiesa alle mutate condizioni sociali e culturali. Così Paolo VI, il cui obiettivo era proprio quello di risvegliare la vita della Chiesa, dei fedeli, in ascolto dello Spirito e in attento discernimento dei segni dei tempi. Dare corpo, cioè a un nuovo stile di sentirsi fratelli nella fede.
Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata in basilica vaticana in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo, ha affrontato questo tema partendo proprio dai due apostoli che la tradizione cristiana da sempre considera inseparabili. Con un’immagine tipica del suo modo di offrire una riflessione alla Chiesa, papa Ratzinger parla di “parallelismo oppositivo”.
Papa Benedetto afferma che Pietro e Paolo, “benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile proprio dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro. Solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità”.
Fabio Zavattaro