Una famiglia di imbottigliatori quella dei Bagli di Viserba, ma originari di San Giovanni in Marignano, si badi bene! La storia di una famiglia che è la storia di un paese, del suo spirito costruttivo, dei sogni e delle speranze. È l’Italia degli anni ‘20 e ‘30 che si dipanano tra le due guerre che l’hanno distrutta. Giuseppe Bagli nel 1929 acquistò la prima fabbrica di imbottigliamento e scomparso prematuramente lasciò tutto in mano ai figli Claudio e Cesare Bagli, imbottigliatori di seconda generazione.
È Claudio a ricordare: “Del carattere dei miei nonni ricordo e conservo la positività. Della casa dei nonni paterni ho netta l’immagine di un pozzo profondo 15 metri dove nonno Cesare, contadino, e nonna Giuseppina Serafini – addetta alla cura di mucche, polli, maiali e di un’unica grossa pecora dalla quale ricavavano il formaggio – lavavano il bestiame. Del nonno materno, Cesare Rastelli, calzolaio sposato con Stella Olmeda (proprietaria di tre terreni che dava in affitto), ricordo la bellezza e gli intriganti racconti della sua marcia su Roma. In casa si diceva che con la crisi del ‘29 nonno Cesare, partito per l’America e trovato brutto tempo, fece immediato dietrofront facendosi precedere da un bizzarro telegramma: Causa cattivo tempo, torno in patria”.
Il signor Claudio, classe 1927, ha vivo il ricordo di quando il padre Giuseppe (a diciassette anni già sarto a Rimini di Monsignor Scozzolini) e la bella mamma Jolanda Rastelli, sarta anche lei, si trasferirono a Viserba e affittarono la prima casa da un ramo della famiglia Bernardi, i Laca.
Le consegne in bicicletta
Nella successiva abitazione viserbese di via Mazzini, demolita nel tempo e ricostruita, Giuseppe Bagli, su consiglio del fratello Giovanni e col suo sostegno economico installò il primo impianto di imbottigliamento, abbandonando definitivamente il mestiere di sarto.
“Dopo l’acquisto nel ‘29 della fabbrica di imbottigliamento di Augusto Macrelli in via Mazzini – ricorda Claudio – e la successiva sostituzione del nome della già operante ditta da “Bagli Giuseppe” (titolare fino a quel momento) a “Fratelli Bagli”, io e mio fratello Cesare abbiamo proseguito l’attività, lavorando con i contenitori di seltz, oggi oggetti di antiquariato. Le prime consegne, effettuate in bicicletta, coprivano la zona di San Martino in Riparotta, Case Nuove, San Giovanni in Bagno, Barafonda, Torre Pedrera, Viserbella e Viserba”.
Ricordando la scomparsa di quel padre ingegnoso e gran lavoratore avvenuta a mezzanotte del 19 settembre 1939 nell’Ospedale di Rimini, quando Claudio aveva dodici anni, Bagli ripete con voce rotta e occhi lucidi le ultime sue parole:
“Burdèl, an morirò miga?”. Oggi la casa di via Mazzini continua ad essere abitata da Claudio Bagli e dalla moglie Silvana Buldrini. Ed è nell’ampio garage di casa, ricco di vecchi multiformi oggetti allineati sulle pareti e conservati con estremo ordine in mille cassetti, che il signor Claudio trascorre gran parte della giornata. Oggetti che lo collegano al suo passato lavorativo e hobbistico e che non di rado rielabora, trasforma, reinventa.
Il secondo capannone per l’imbottigliamento i Bagli lo aprirono in via Canini. Così recitava una persuasiva pubblicità: “B&B – Bevi Bagli … che non sbagli ! – Ditta Bagli – Via Canini – Viserba – tel. 38595 / Acqua Minerale Sacramora-Prodotti S.Pellegrino-Birre delle migliori marche nazionali e straniere”.
La leggenda che ha fatto acqua
Abbandonata da tempo la bicicletta da trasporto, i Bagli, proseguirono l’attività in un capannone della Sacramora, poco discosto dalla sorgente “miracolosa” che s’era formata nella zona di Viserba, tutta dune e sabbia, denominata “Sagramora” che – secondo la storia è – dovuta all’insabbiamento di un’arca in pietra d’istria contenente le spoglie del giovane martire Giuliano, discendente da nobile famiglia istriana e senatore greco ed educato alla fede dalla madre Asclepiodora.
Il corpo del giovane, rinchiuso nudo in un sacco pieno di serpi velenose e sabbia e gettato in mare (a Flaviade nella Cilicia) dal proconsole Marziano, per non aver voluto rinnegare la fede cristiana, giunse fino all’isola di Proconneso, dove i fedeli lo seppellirono in un’arca in marmo d’Istria collocata su uno scoglio. L’arca, precipitata in mare in una notte d’estate del 957, arenò al lido di Viserba dopo una straordinaria navigazione. Il 25 giugno 1957, a ricordo del millenario, monsignor Emilio Pasolini benedì il cippo posto sulla sorgente. Sorgente che nel tempo risulterà assai utile ai Bagli nel ‘49-’50. Infatti, da un “coppo” piantato nel terreno dei Sarti (commercianti di stoffe in piazza Tre Martiri), sgorgava acqua abbondante e fresca.
Malvina Tamburini, la cui famiglia, proveniente da Rivabella, affittò dai Sarti il terreno come orto, sostituì il coppo con un’anfora in marmo; poi, con l’arrivo del nuovo proprietario (Cottarelli, medico milanese titolare a Riccione di un grande albergo) Malvina ingentilì l’area con salici fonte e anfora e costruì il “Bar Dancing Sacramora” che gestì fino al ‘58. Con Cottarelli l’anfora in marmo abdicò al primo stabilimento per l’imbottigliamento della salutare “Acqua Sacramora”. Imbottigliamento che, passato dal lungimirante medico milanese a Savioli e proseguito nel nuovo stabilimento di via Popilia, lasciò il posto a quattro fontanelle prese d’assalto da cittadini, turisti e operatori alberghieri; fontanelle che, chiuse e riaperte più volte, sono oggi circondate da sporcizia che coinvolge l’affiancato altorilievo dello scultore Franco Luzi, raffigurante, come legenda vuole, San Giuliano circondato da serpenti. Ed è proprio nello stabilimento sulla via Sacramora che i fratelli Bagli, gran lavoratori, occhio lungo e amici dei Tamburini, ampliarono e proseguirono fino al 1968 l’imbottigliamento e vendita di gassose, aranciate e acqua minerale.
È con un pizzico di amaro in bocca che Claudio Bagli ricorda la fine toccata ai primi due impianti di imbottigliamento. “Uno stracciaio a cui avevamo venduto il primo impianto se lo portò via senza tornare a pagare. Il secondo impianto, del 2000, smontato in attesa d’esser venduto, fu rubato nottetempo nel capannone di via Sacramora che avevamo acquistato dai Savioli”.
Bagli & friends…
Ma la storia dei Bagli è anche la storia di una grande amicizia: quella tra Claudio e il viserbese Sergio Bernardi, dei Laca. I due furono, sin dai banchi della scuola, complici di scherzi, scorribande, viaggi e “conquiste”. Claudio e Sergio, Sergio e Claudio: vite indissolubili fino alla scomparsa di Sergio, lo scorso inverno. Parlando di Claudio, Sergio Bernardi diceva: “La mia infanzia la devo necessariamente legare a quella del mio amico Bagli perché la nostra era una vita in comune. A tre anni Claudio era stato innamorato della Madre Superiore dell’asilo. Lui non solo non sapeva nuotare ma neanche tirare i sassi, in compenso a sessantacinque anni ha rimesso in auge la fionda. Facevamo parte di una bella banda di ragazzini che spadroneggiava in tutte le ville dei dintorni. Ci chiamavano quelli della via Mazzini”.
Claudio ricorda come fosse ieri lo scherzo fattogli dall’amico Sergio quando questi, salito sul fico d’una villa, gli precipitò addosso con una gran risata tirandosi appresso il grosso ramo che gli si era spezzato sotto i piedi.“Tra di noi erano scherzi continui pure da grandi. Ce ne siamo fatti anche durante un viaggio a Roma nel ‘51 (via S.Sepolcro-Umbertide -Perugia-Todi-Narni-Orte), lui con la sua bicicletta io col mio motorino Solex carico di valigie. Alternandoci alla guida dei nostri mezzi tra pedalate, sgasate, panini e una deliziosa cena umbra, a Perugia, in casa dei conti Degli Oddi, gli sherzi l’hanno fatta da padrone. È bello ricordare l’amicizia, l’affetto e la complicità che ci ha sempre legato. Anche da aduti non abbiamo passato un giorno senza vederci. Più volte abbiamo ricordato in allegria il giorno in cui, già adulti, dopo aver gustato un buon caffè al Roxy Bar di Nino Fabbri, il mio occhio è stato ipnotizzato dalla zuccheriera in bella vista sul bancone. Colto da un improvviso desiderio di fargli uno scherzo, mi è bastato un rapido sguardo d’intesa con Nino perché versassi tutto lo zucchero su Sergio che, dopo qualche imprecazione è scoppiato in una gran risata. Ed io con lui. E Nino con noi. Era il nostro modo di essere amici! A Viserba ci si divertiva andando a ballare all’Hotel Milano (dimora esclusiva dei Polacchi prima della guerra) e al Tondo ristorante e ballo dei Crociati-Zanzani aperto solo in estate. In inverno si ballava in un garage del Teatro. I bei locali venuti dopo, come Villa dei Pini e Gargen Ceschi non ce li siamo fatti sfuggire. Così come il Dancing Sacramora il Teatro Nuovo e la Sirenetta.
Maria Pia Luzi