Una riminese tra i maggiori biblisti italiani, proprio non ce l’aspettavamo dalla Provvidenza… (anche a casa nostra vale l’adagio nemo propheta in patria sua)! Qualche anno fa, in occasione della nuova traduzione della Bibbia, la commissione biblica delle <+cors>Edizione San Paolo<+testo_band> (presieduta da Gianfranco Ravasi e Bruno Maggioni), ha affidato a Laila Lucci i commenti esegetici e teologici dei libri sapienziali (tanto per intenderci: Cantico dei Cantici, Proverbi, Sapienza, Siracide e tutti i Salmi).
L’abbiamo incontrata alla Pagina, la nuova libreria diocesana che non è nata per essere solo un negozio di libri, ma piuttosto un’agorà aperta sull’Infinito (emblematico, al proposito, il cielo azzurro disegnato da Eron sul soffitto) dove le persone si scambiano esperienze e passioni sull’interrogativo più misterioso (ma non enigmatico!) della storia: Dio! Come docente dell’Issr “A. Marvelli” di Sacra Scrittura ha presentato la sua ultima fatica nella rassegna annuale L’elogio del libro: incontri con l’Autore (in cui i Docenti dell’Issr presentano alla città le loro ultime ricerche): l’introduzione, la traduzione e il commento ai libri profetici di Gioele e Amos (ed. San Paolo, 2011 e 2012). Le abbiamo così rivolto qualche domanda sul suo impegno di biblista e sulla Sacra Scrittura.
Che cosa spinge un cristiano a un lavoro che richiede tanto tempo ed energia come quello di traduzione e interpretazione del testo biblico?
“Facendo eco alle parole di san Girolamo “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”, il Concilio Vaticano II ha esortato “con ardore e insistenza tutti i fedeli….ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo con la frequente lettura delle divine Scritture” (DV 25). Queste parole esprimono la necessità di restituire la S. Scrittura ai legittimi destinatari: i fedeli. Negli ultimi decenni si è fatto strada nella Chiesa un crescente desiderio di conoscenza della Parola e, datosi che la conoscenza accresce l’amore, è aumentato di pari passo il desiderio di approfondire il testo biblico, per entrare in contatto sempre più intimo con la Parola incarnata. Gli strumenti a questo scopo sono molteplici e fra questi c’è l’offerta di insegnamento da parte di Istituti di Scienze religiose e Istituti teologici che aiutano ad affrontare studi biblici ad ogni livello”.
È forse questo il motivo che spinge molti giovani e meno giovani a studiare la Scrittura, anche nelle lingue originali? Che esperienza ha tratto in questo senso dal suo insegnamento delle lingue bibliche?
“Affrontando lo studio con sincera apertura, molti avvertono l’esigenza di indagare più a fondo alcuni aspetti della Scrittura: l’ambiente culturale che l’ha generata, il suo progresso di formazione, le modalità della sua trasmissione e, soprattutto, ciò che “l’agiografo ha inteso e ha espresso in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura” (DV 12). Il desiderio di conoscere profondamente il testo sacro non di rado aumenta nel lettore il desiderio di comprendere il significato di parole ed espressioni proprie delle culture bibliche e spinge tante persone a ‘sintonizzarsi’ sul linguaggio biblico. Il risultato è sempre l’approfondimento della relazione con l’Autore della Parola. Il libro del Siracide afferma: “le cose dette in ebraico non hanno la medesima forza quando vengono tradotte in un’altra lingua; libri nel testo originale conservano un vantaggio non piccolo”. Devo dire che nella mia esperienza di insegnamento delle lingue ebraica e greca ho visto persone talmente motivate da continuare, anche dopo la fine del corso, a tradurre appassionatamente i testi sacri”.
Non si può dire, comunque, che gli studi biblici siano alla portata di tutti; anzi, solo un’esigua minoranza può accedervi. Com’è possibile alla grande maggioranza approfondire il rapporto con la Parola di Dio?
“In riferimento al documento conciliare, Benedetto XVI ha affermato che la Dei Verbum avrebbe “favorito nelle comunità cristiane un autentico rinnovamento spirituale e pastorale”. In effetti, accanto agli studi biblici è fiorito un pullulare di gruppi di ‘lettura’ e ‘meditazione’ della Parola. Spiccano in questo senso la riscoperta della ‘lectio divina’ e la realizzazione dei numerosissimi centri di ascolto del Vangelo, guidati spesso da laici impegnati nell’approfondimento e nella spiegazione della S. Scrittura. Il risultato può essere sintetizzato nell’affermazione di Gregorio Magno: “La Scrittura cresce con chi legge”, nel senso che, ricercando con desiderio il volto del Verbo di Dio, la sua conoscenza si approfondisce sempre di più attraverso i nuovi sensi, che i medesimi brani di volta in volta rivelano. La conoscenza, mossa dall’amore si traduce poi in vita, perché la Parola genera vita”.
Oggi si parla di radici ebraico-cristiane dell’Europa: lei crede che si possa assegnare un ruolo alla Sacra Scrittura nella formazione della civiltà occidentale?
“Chi vuole riflettere seriamente non può che riconoscere l’importanza essenziale della Bibbia in merito alla formazione dell’identità Occidentale. Si dice spesso che il Concilio Vaticano II abbia contribuito validamente a far riscoprire nella Sacra Scrittura le radici vitali dell’intero impianto della tradizione cristiana, indicando nei libri sacri la fonte primaria di riferimento della cultura ebraica e delle radici essenziali della cultura dell’Occidente, che è fondamentalmente ebraico-cristiana. Si pensi all’arte (pittura, architettura, musica, letteratura). In questo senso appare grave, come molti colleghi sostengono, il fatto che, in vari sistemi scolastici pubblici europei, lo studio dei classici della letteratura non contempli l’attenzione alle Scritture bibliche secondo pari dignità rispetto ad altri ‘monumenti’ della letteratura antica, medioevale, moderna e contemporanea. Far emergere gli aspetti interiormente e socialmente più costruttivi della cultura occidentale può essere, invece, un mezzo importante sulla strada di un confronto, sempre più urgente, con ispirazioni e mondi culturali extra-occidentali, nell’interesse della libera e pacifica convivenza. La Sacra Scrittura propone, infatti, un’idea di essere umano in cui intelletto e cuore, razionalità ed emotività, sono chiamati al servizio della solidarietà nei confronti dei propri simili. Si tratta di un discorso radicalmente formativo al servizio dell’essere umano”.
Si sente la necessità di riscoprire la Parola nel mondo di oggi, fondamentalmente laico?
“A mio avviso c’è motivo di pensare che la conoscenza della Bibbia risponda a un’esigenza molto avvertita dall’uomo di oggi, perché quella contemporanea è la ‘civiltà dell’immagine’; ebbene, il linguaggio delle immagini, dei simboli, delle allegorie è quasi una costante negli scritti biblici. Questi ultimi rivelano perciò una straordinaria consonanza con la condizione culturale e spirituale odierna. Una dimostrazione viene, paradossalmente, anche da un’ampia letteratura che propone delle interpretazioni ‘alternative’ della Bibbia, rifacendosi agli scritti di Qumran (i misteriosi Esseni), o ai Vangeli apocrifi. È una letteratura fuorviante, che però rivela un’attenzione”.
Si può affermare che nella Chiesa cattolica sia maturato un nuovo rapporto fra Scrittura e teologia?
“A partire dal Concilio in poi la Bibbia è progressivamente uscita dal ruolo di ancilla Teologiae per diventare punto di riferimento primario della teologia dogmatica e della stessa fede ecclesiale. Si sta ingrossando il filone della teologia biblica. C’è attenzione da parte del Magistero al ruolo della Sacra Scrittura. Ricevendo, al termine del Sinodo dei vescovi sulla parola di Dio (ottobre 2008), in udienza la comunità del Pontificio Istituto Biblico (che celebrava il centenario della fondazione) il Papa ha pronunciato questo augurio: “Comune auspicio è che la Sacra Scrittura diventi in questo mondo secolarizzato non solo l’anima della teologia, bensì pure la fonte della spiritualità e della fede di tutti i credenti in Cristo”. Non pochi interventi dei padri sinodali hanno auspicato, sia pure con accenti eterogenei, la necessità di rendere biblica l’azione della Chiesa dentro i propri ambiti e verso le società contemporanee nel loro complesso. Sono stati anche elaborati documenti della Pontificia Commissione Biblica, che fanno riferimento all’accresciuto spazio assegnato ai corsi biblici all’interno delle Facoltà teologiche. Favorire, poi, in larga scala anche la presenza di laici realmente preparati tra gli studiosi della Bibbia consentirebbe un’osmosi sempre più ricca tra la ricerca scientifica in campo biblico-teologico e la vita quotidiana della società umana; si contribuirebbe a incrementare notevolmente, in quantità e qualità, i canali d’interazione tra la Bibbia e la cultura contemporanea”.
Elisabetta Casadei