Dottoressa Benassi, lei è stata ospite diverse volte alla casa Madre del Perdono, Casa della Riconciliazione e alla Pietra Scartata. Che impressione ha riportato delle strutture e soprattutto del percorso educativo che vi viene svolto?
“Ho un’ottimo giudizio sia delle strutture sia di coloro che vi operano, dal responsabile Giorgio Pieri ai volontari. L’impatto con la Pietra Scartata, in particolare, dove convivono ex tossicodipendenti, disabili e detenuti, è davvero molto forte. Anche il direttore del Dap dott. Giovanni Tamburino ha espresso parole di elogio nei confronti di queste realtà”.
Che rapporto ha la casa circondariale con il CEC della Apg23 e la richiesta di ospitare detenuti desiderosi di voltare pagina?
“Interagiamo in maniera molto costruttiva. Ben sapendo che non decidiamo noi chi inviare nelle Case della PGXXIII; inviamo osservazioni alle figure comperenti, in particolare il magistrato di Sorveglianza per i permessi, o il Tribunale di Sorveglianza di Bologna per altre misure”.
Ritiene questa offerta una valida alternativa alla sola detenzione?
“Ne sono convinta. Tanto più che questo percorso non può essere intrapreso da tutti indistintamente: i detenuti alla casa si mettono in discussione, il recupero è duro ed è fatto di tante regole”.
Dopo anni di sperimentazione supportati da buoni dati sulla recidiva e sulla minore spesa per detenuto, il responsabile Pieri vorrebbe allargare il modello CEC, comunità educante. Per questo ha invitato a Taverna anche il direttore del Dap. Lei che ne pensa?
“L’esperimento avviato da Pieri ormai è maturo e può davvero riverarsi nel CEC. L’associazione papa Giovanni XXIII inoltre ha aperto le porte delle sue 500 case-famiglie a questo progetto. Credo che i tempi siano maturi”.
La casa circondariale di Rimini non si ferma alla sola detenzione. Ha sempre dato molto spazio alle attività formative, dalla pittura alla fotografia alla cucina. Quali risultati pensa di poter raggiungere? E con quali forze?
“Sono direttore a Rimini da 10 anni: ho sempre creduto nell’attività formativa al’interno del penitenziario. Il tempo qui non deve trascorre invano. Scuola, lavoro, fotografia, sport, attività culturali, possono riempire di contenuti la detenzione e aiutare la crescita e la socializzazione del detenuto. Educatori e polizia penitenziaria a Rimini (nonostante i numeri esigui, 5 i primi, poco più di 100 i secondi) ci credono e si rimboccano le maniche per questo. E non va sottaciuto l’apporto dei 23 volontari che in maniera costante, offrono tempo, disponibilità e professionalità per la crescita dei detenuti”.
Paolo Guiducci